Roma, 25 giu – Sono oltre 300mila i cinesi in Italia: una pattuglia nutrita che, per dimensioni, rappresenta la quarta comunità straniera sul territorio nazionale. Numericamente in continua crescita, chi meglio di loro fra i candidati all’applicazione della nuova legge sullo Ius Soli? A raccogliere la loro testimonianza è stata la trasmissione di La7 Tagadà, che è andata a intervistarli a Piazza Vittorio, poche centinaia di metri dalla stazione di Roma Termini, dove i cinesi hanno da tempo fatto base nella capitale.
“Sono d’accordo com’è adesso, che a 18 anni si può scegliere”, spiega uno degli intervistati. “Sono nato in Italia ma sono cinese“, gli fa eco un altro. La giornalista prova ad incalzarlo, chiedendogli se gli piacerebbe diventare italiano. La sua risposta è semplice e lineare: “No, perché sono cinese e quindi voglio restare sempre cinese“.
Dopo tanto peregrinare finalmente la troupe trovano un tale Yan, diventato italiano dopo 19 anni di residenza e – dicono, la sua opinione non è registrata – favorevole allo ius soli, il quale però spiega che la maggior parte dei cinesi non sono interessati al passaporto italiano. Anche perché la Repubblica Popolare Cinese sul tema è molto ferrea, non proprio un paese per Boldrini o Kyenge di sorta: la doppia cittadinanza non è ammessa, quindi assumere l’italiana implicherebbe rinunciare a quella di origine. Circostanza confermata anche da altre due donne intervistate a stretto giro.
“A me non interessa, a me va bene cinese, noi siamo cinesi”, fa eco anche una donna in dolce attesa, da 10 anni in Italia e il cui figlio sarebbe dunque un modello ideale per l’integrazione forzata sponsorizzata dal governo. Il quale forse avrebbe dovuto prima sentire i diretti interessati per capire se davvero questa “battaglia di civiltà” o sedicente tale è apprezzata dai diretti interessati.
Nicola Mattei