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Ci furono Gladio e Mossad dietro l’incidente di Argo?

by Armando Haller
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Un velivolo C47 Dakota, lo stesso modello di Argo 16

Un velivolo C47 Dakota, lo stesso modello di Argo 16

Roma, 23 nov – Sono da poco passate le 7:30 del 23 novembre 1973 quando un bimotore turboelica dell’Aeronautica Militare si schianta nei pressi di Marghera. Il velivolo appena decollato da Venezia sfiora una palazzina e si incendia dopo l’impatto al suolo, in un parcheggio molto vicino a un deposito di velenossimo fosgene. Muoiono nell’impatto il comandante Borreo, pilota pluridecorato durante l’ultima guerra mondiale, il colonnello Grande e due marescialli del Sid, Schiavone e Bernardini.

Argo 16, nome in codice del velivolo precipitato, in dotazione ai servizi segreti militari, veniva impiegato per lo più in missioni antiradar nell’Adriatico ai danni della Jugoslavia, ma anche per il trasporto di uomini e mezzi di Gladio, l’organizzazione nata nel 1956 per contrastare un’eventuale invasione dell’Armata Rossa e sciolta nel 1990 dal governo Andreotti.

Non solo, Argo (nome mitologico del gigante che tutto vede, oltre che del cane di Ulisse) fu utilizzato anche per il trasferimento di almeno due terroristi arabi in Libia, arrestati a Roma con l’aiuto del Mossad, prima di compiere un attentato a un aereo di linea israeliano. Il 30 ottobre infatti, Argo 16 aveva fatto scalo a Malta eppoi rilasciato Ali Al Tayeb Al Ferghani e Ahmed Ghassan a Tripoli.

Siamo alla fine del 1973, si è da poco conclusa la guerra arabo-isreaeliana del Kippur e l’Italia, pure alleata dello stato d’Isreale in occasione del conflitto, è legata agli ambienti della lotta per la liberazione della Palestina da un tacito accordo: “non una ma più volte, furono liberati con meccanismi vari palestinesi detenuti e anche condannati, allo scopo di stornare gravi rappresaglie che sarebbero poi state poste in essere se fosse continuata la detenzione”, scrisse in seguito Moro dalla “prigione del popolo”, che proprio nel 1973 presiedeva il Ministero degli Esteri.mossad-logo

Gladio, Gheddafi, guerra in Medio Oriente e Mossad, ci sono tutti gli elementi affinché di chiarezza sullo schianto del velivolo se ne faccia ben poca. L’inchiesta dell’Aeronautica del 1974 viene archiviata (si è trattato di un incidente) ma due interviste ai generali Miceli e Viviani riaprono il caso, parlando di manomissione e di “avvertimento un po’ cruento dei servizi di Israele al governo italiano” circa l’accordo con il terrorismo arabo. Nel 1986 la procura di Venezia affida la questione al giudice Carlo Mastelloni, che nel 1997 rinvierà a giudizio nove ufficiali dei servizi italiani per depistaggio (i resti dell’aereo sono nel frattempo spariti) e i vertici del Mossad per strage, Zvi Zamir e Asa Leven (l’ipotesi è quella di manomissione al timone di coda). Le versioni che si rincorrono in oltre 15 anni di indagini sono del resto numerosissime, da vendette interne alla Gladio all’errore umano, come le reticenze degli interrogati e le opposizioni del segreto di stato agli inquirenti. Il 16 dicembre 1999 arriva l’assoluzione di tutti gli imputati, la sentenza stabilisce che si è trattato di un’avaria o di un errore umano. Perchè i depistaggi allora? Verrebbe da dire.

L’incidente di Argo 16 arriva otto anni prima di Ustica e dodici prima di Sigonella. Un periodo in cui nel nostro Paese si sono consumate un’enormità di accadimenti irrisolti, con le potenze straniere che hanno avuto mano libera nel perseguire i propri scopi, spesso illeciti. Ne esce un quadro abbastanza castrante, per cui chiunque provi a sopperire a tale mancanza di autonomia deve poi assumersene le responsabilità: Moro, Craxi ma anche Berlusconi, quando riuscì ad arrestare i flussi migratori dalla Libia e ottenere importanti contratti per le imprese italiane nel paese di Gheddafi. Per dirla con le parole del giudice Mastelloni, nel dopoguerra l’Italia si è sempre trovata a fare i conti con “una moglie americana, un’amante araba e una suocera israeliana”, oggi invece siamo diventati così bravi da aver addirittura aver perso interesse per l’amante.

Armando Haller

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