Roma, 27 ago – Ogni tanto sulla Russia bisogna rimettere le cose in ordine, quanto meno da un punto di vista raziocinante (se non culturale, ma siamo troppo pessimisti per quello). Perchè di idee possiamo coltivarne di ogni genere e sfumatura, e ci mancherebbe altro, ma raccontare storie ad oggi, nel 2024, del tutto fantapolitiche, non ha nessun senso. Una di queste storie, perpetrata con particolare energia dalla propaganda occidentale dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, è che questa rappresenterebbe l’emblema di un presunto “imperialismo russo”, dai più deliranti addirittura identificato come “sovieitco”. Non si sa da che parte cominciare, con una degenerazione di proporzioni evidentemente gigantesche, e lasciamo volutamente fuori in prima battuta il raffronto tra le due entità, di periodi storici diversi, “Unione sovietica” e “Federazione russa”. Andiamo sul concetto di “minaccia russa all’Europa” che tanta popolarità ha avuto nel mainstream (e non solo).
La Russia oltre Kiev: una minaccia concreta o una storia fantastica?
È notizia appena diffusa quella dell’ultimo attacco della Russia contro la capitale ucraina. Ma andiamo banalmente a tracciare la storia della Russia post-sovietica dal punto di vista delle “guerre imperiali”. Le “guerre imperiali” di Mosca sarebbero, sostanzialmente, quelle in Cecenia negli anni Novanta e nel primo decennio del Duemila, quella in Georgia del 2008, gli interventi a sostegno del Donbass e del Donetsk dopo il 2014 e infine, naturalmente, il conflitto scoppiato il 24 febbraio del 2022 con Kiev. Con enorme sforzo di fantasia (e solo per completezza), potremmo aggiungerci l’intervento nella guerra civile siriana a sostegno del presidente Bashar Assad, ad oggi il più grande alleato di Vladimir Putin sul Mediterraneo. E in effetti, l’unico territorio che non sia adiacente alla Federazione, ma per il quale non si può certo parlare di conflitto vero e proprio, dal momento che il Cremlino non è entrato in guerra “contro la Siria” ma a sostegno del governo siriano legittimo.
Lasciando fuori, dunque, i deliri fantastici di poter includere addirittura la Siria, restano “dentro al discorso” Cecenia, Georgia, Ucraina. La prima è parte integrante della Federazione Russa, di conseguenza i due sanguinosi conflitti che l’hanno riguardata sono inerenti a una questione del tutto interna agli affari di Mosca e alla gestione della sua integrità territoriale. La crisi georgiana viene presentata come un attacco imperialista di Mosca fin dal lontano 2008 in cui essa scoppiò. Peccato che essa fu il risultato di un attacco della Georgia all’Ossezia del Sud, che il Cremlino decise di difendere allo scopo di non consentire un ampiamento territoriale a un governo, quello di Tbilisi, da tempo vicino politicamente ai rivali americani. Dunque, proprio tecnicamente, è impossibile parlare di “aggressione russa”, anche se la propaganda occidentale continua a definirla come tale, puntando sul non riconoscimento internazionale dell’Ossezia meridionale (insomma pare di capire che, se non sei riconosciuto, puoi essere anche invaso, a patto che a svolgere l’operazione non sia l’orso russo, si intenda).
Poi c’è l’Ucraina, e lì la questione si fa ancora più fitta. Il sostegno della Russia ai separatisti del Donbass e del Donetsk comincia subito dopo la crisi del 2014, poi c’è la guerra che ci siamo abituati a conoscere: indubbiamente un’aggressione russa, a prescindere dalle motivazioni geopolitiche che l’abbiano provocata. Di tutte le fantomatiche “guerre imperialiste di Mosca”, nessuna – a meno di non voler delirare aggiungendo la Siria così, per sport – si svolge lontano dai confini della Federazione (se non addirittura all’interno dei propri confini sovrani) e l’unica di reale aggressione è quella a Kiev.
Per dare una dimensione, è necessario fare dei paragoni, e i primi che vengono in mente sono ovviamente quelli con Washington e con una politica militare americana che, dalla fine della guerra fredda in avanti, è arrivata ad agire nel Mediterraneo e in Medio Oriente con una certa continuità, tra Kosovo, Afghanistan e Iraq, e non certo tra Messico, Cuba e Venezuela.
Questo significa che la Russia non nutra ambizioni imperiali? Ovviamente no. Per storia e proposizioni, certamente il Cremlino sognerebbe di agire sulla scala globale su un piano paragonabile a quello del passato. La Russia non è imperiale non perché sia “buona”, ma perché da circa trent’anni non ha la benche minima proposizione militare, geopolitica e anche economica per poter svolgere un ruolo simile. Nonostante non sia sicuramente una potenza di secondo piano, non possiede la struttura né un ammontare di spese militari minimamente paragonabile a quelle di Wasghinton come di Pechino. Ovvero le uniche, ad oggi, nel 2024 e non in un futuro inventato o in un passato reinterpretato spesso in modi altrettanto fantasiosi, a poter essere e ad essere concretamente conduttrici di una “politica imperialista”. Fine della storia e, si spera, inizio di un minimo – ma proprio un minimo – di logica.
Poi è chiaro che tutto possa succedere nella realtà, ma in termini tecnici e razionali non c’è un solo motivo logico che dovrebbe spingere Mosca ad andare oltre lo stato che, un tempo, era suo cuscinetto rispetto alle forze della Nato. Chiaramente, queste probabilità possono aumentare in caso di aggressioni o di pressioni più accese. Se la scelta diventa tra sopravvivere e perire, si può anche andare oltre i propri limiti: economici, militari, statistici, non c’è discussione su questo. Non andrebbe neanche sottolineato, perché si tratta di una banalità.
Il delirio del paragone tra Urss e Federazione Russa
C’è qualcuno che va perfino oltre ed identifica – non si capisce bene sulla base di cosa – la politica russa come una politica “sovietica”. L’Urss, per l’appunto, arrivava pure in Afghanistan e, per vie traverse, in Corea e a Cuba. Controllava metà dello scacchiere globlale, tra blocco europeo del Patto di Varsavia e alleanza con molte realtà del cosiddetto “Terzo mondo” e del “socialismo arabo”. Era esponente di un’alternativa conclamata al modello liberalcapitalista di stampo americano, aveva una proiezione culturale, oltre che militare, di ampio respiro. Non credo sia necessario approfondire oltre la smentita di questo delirio, che in fase introduttiva mi ero quasi promesso di tralasciare, ma che poi, trascinato dalle parole e dalle riflessioni, ho deciso di includere. Perché ci vogliono veramente poche righe a smentirne la veridicità o anche solo la razionalità politica. La Mosca del 2024 fa fatica a spendere un decimo degli Usa e della Cina in armamenti militari, quella sovietica, pur facendo anche a suo tempo fatica a seguire la supremazia del rivale americano, ne era concorrenziale. Basta questo a mettere nel cassetto una “analisi” così superficiale.
Stelio Fergola