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Champions League, una coppa senz’anima?

by Roberto Johnny Bresso
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Champions League

Roma, 25 ago – La UEFA Champions League inizia questa stagione una sua nuova era, costituita da una fase iniziale a girone unico composto da 32 squadre che giocano rispettivamente otto partite, quattro in casa e quattro in trasferta. Proverò oggi ad analizzare perché questa formula a mio avviso toglie tanto fascino alla competizione.

Champions League, la tradizione e i primi cambiamenti

La storia della gloriosa “Coppa dalle grandi orecchie” ha inizio nel 1955, su idea del giornalista francese Gabriel Hanot (curioso come i più importanti tornei calcistici siano stati inventati dai francesi, quando il calcio non era di fatto sport nazionale) che voleva stabilire quale fosse la squadra più forte del panorama europeo. Vi parteciparono 16 squadre (alcune delle quali su invito) e, tanto per cambiare visto che arriverà a 15 trionfi, vinse il Real Madrid, sconfiggendo in finale i francesi dello Stade de Reims. Da allora vi presero parte le squadre vincitrici dei rispettivi campionati nazionali e la competizione assunse di anno in anno sempre maggior prestigio. La prima squadra italiana ad alzare il trofeo fu il Milan nel 1963 (lo fece per sette volte in totale), seguita poi dall’Inter per tre volte e la Juventus in due occasioni, mentre Fiorentina, Roma e Sampdoria invece vennero sconfitte in finale.

Nel 1992 la prima significativa modifica alla formula, con l’introduzione dei gironi e il nome attuale (Champions League, per l’appunto). Nel 1996, anche le seconde squadre classificate vengono invitate a partecipare. A partire dal 2000 i principali campionati poterono inviare addirittura quattro squadre e la formula iniziò a prevedere sempre più partite, allo scopo di venire incontro alle esigenze televisive ed agli sponsor, che trasformarono il torneo in una miniera di soldi.

Una coppa senz’anima?

Siamo così arrivati a quello che definisco, a discapito dei pomposi commenti dei giornalisti televisivi che ovviamente sono pagati per spingere il loro prodotto, l’anno zero della Coppa dei Campioni (come ancora mi viene naturale chiamarla, in vece di “Champions”). Intendiamoci, non sono un oltranzista del calcio tutto la domenica pomeriggio e della “Coppa prima maniera”: il mondo si è evoluto, è cambiato e lo stesso ha fatto il calcio. Certi accorgimenti sono stati assolutamente necessari per rendere più dinamico, moderno e appetibile alle nuove generazioni il gioco più amato del mondo, ma ora si è decisamente andati troppo oltre solo per spremere come un limone un prodotto che oggettivamente inizia a stancare. Un evento è tale se non viene ripetuto ogni settimana fino a farlo diventare routine e, francamente, noioso quasi come un’amichevole estiva. Inoltre il girone unico nel quale non esiste equità perché si gioca solo contro determinate squadre, fa sì che la classifica tenderà a premiare le compagini più ricche delle prime fasce e poi si partirà con la fase ad eliminazione diretta in base alla classifica del girone, scongiurando così molte sorprese e rendendo sempre meno probabile che in finale ci possano arrivare un Borussia Dortmund o un Monaco e via così ogni anno, con il divario che si accentua sempre di più grazie anche alla possibilità di più sostituzioni, cosa che giova ovviamente solo a chi ha rose enormi. Scordiamoci un Milan-Real al secondo turno come nel 1989: chi perdeva era fuori già in autunno. Crudele? Sicuramente, ma non lo è anche la vita? Perché il calcio ha deciso di correggere anche i fattori di rischio imprevedibile che lo hanno reso universalmente popolare? La risposta sono sempre i dannati soldi, che, se è pure vero che permettono di tenere in piedi il carrozzone, rischiano però di farlo andare a schiantare, perché la gente non è che ha poi così tanto denaro da spendere in biglietti dello stadio a peso d’oro e abbonamenti alle tv sempre più salati.

Ora non ci resta che vedere come sarà accolta questa nuova formula, ma il fatto che sia stata cambiata così spesso negli ultimi anni, come a cercare una qualche magica formula alchemica, lascia pensare che forse chi muove i fili si sia accorto che più di qualcosa non sta funzionando come avrebbero voluto.

Roberto Johnny Bresso

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