Roma, 29 apr – “Non solo la vita deve essere conquistata con dignità, ma anche la morte: le due realtà che decidono delle sorti degli uomini, i doni più belli della natura, poiché anche la morte è una conquista quando la vita è stata un’offerta”. C’è un’intuizione profetica in queste parole di Carlo Borsani, l’eroe e invalido di guerra assassinato dai partigiani il 29 aprile 1945, a Milano. Un uomo la cui vita è stata davvero un’offerta di sé alla patria e la cui morte ha rappresentato la conquista di un martirio per l’idea.
Borsani nasce a Legnano, il 29 agosto 1917. A tredici perde il padre, operaio ed esponente socialista, morto in un incidente sul lavoro. Grazie al parroco di Legnano riesce, malgrado le ristrettezze economiche, a proseguire gli studi. La sua è quindi una gioventù di sacrificio, allietata solo dalla grande passione per il calcio. Durante la guerra si distingue subito per azioni eroiche e intrepide. Quando perde la vista in battaglia, per esempio, è appena scappato dall’ospedale da campo in cui era stato ricoverato in seguito al plurimo ferimento da schegge, che non gli aveva impedito di resistere al suo posto di combattimento per dodici ore, cosa che gli varrà una menzione per una medaglia d’argento al valore militare. È con questa esperienza fresca nel corpo e nella mente che Borsani si rituffa nella battaglia senza neanche essere guarito del tutto.
La nuova azione eroica gli varrà la medaglia d’oro, con questa motivazione: “Ferito tre volte durante tenace difesa per mantenere il possesso di delicata posizione, ancora degente all’ospedale, chiedeva ed otteneva di partecipare col proprio reparto a nuovo cimento. Assunto volontariamente il comando di un plotone moschettieri arditi, guidava i suoi fanti all’assalto di munita posizione nemica tenacemente difesa. Benché ferito alle gambe da una raffica di mitragliatrice, non desisteva dalla lotta e, nel generoso tentativo di spingersi ad ogni costo sull’obiettivo assegnato, restava più gravemente ferito al viso, agli occhi ed in varie parti del corpo da schegge di bombe da mortaio. Ricoverato in gravissime condizioni, conscio ormai che la vista era irrimediabilmente perduta, esprimeva solo il rammarico di dover desistere dalla lotta, confermando la sua fede e la sua piena dedizione alla Patria”. Reso cieco, si rifiuterà sempre di imparare il Braille e di girare con il bastone.
Ricoverato e fasciato dalla testa ai piedi, riesce a commuovere il generale Messe che, in visita all’ospedale, vede il ferito intonare l’inno del 7° Reggimento Fanteria di Milano, che Borsani stesso aveva scritto. Rientrato a casa per ricevere le necessarie cure, decide di riprendere gli studi, lasciando Giurisprudenza e passando a Lettere, facoltà in cui si laurererà nel 1942. Si reca in Russia per portare pacchi dono ai combattenti e far sentire loro la vicinanza di un ferito di guerra, ma il clima riacutizza il dolore delle ferite e deve rientrare in patria. Nel frattempo si sposa con una giovane ragazza che si era innamorata di lui solo sentendolo parlare alla radio. Durante il viaggio di nozze si recano in udienza da Papa Pio XII, che dimostra squisita sensibilità rivolgendosi così, davanti al marito, alla neo-sposa: “Mio Dio, che disgrazia, ma lei, così giovane, come ha potuto sposare quest’uomo, un cieco?”. Al ritorno fu visto confidarsi con un amico e, unica volta, piangere per l’umiliazione.
Politicamente, Borsani svolge il ruolo di consigliere nazionale del Pnf: è il più giovane d’Italia. Dopo l’8 settembre, Borsani non ha dubbi e, nei suoi articoli, tesse un commovente ricordo dei suoi soldati morti: “Nessuno dei miei ragazzi meritava la ricompensa del disonore”. E in un radiomessaggio del novembre ’43: “Oggi è il sangue dei morti che segna i confini della patria”. Mussolini lo nomina presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra, ruolo grazie al quale gira l’Italia centro-settentrionale per spiegare perché occorre dire no al tradimento. Firma così la sua condanna a morte. In un radiomessaggio del 10 novembre 1944 dice: “Se oggi tutto sembra perduto, dite al mondo e soprattutto al nemico che in Italia esiste ancora una generazione di uomini pronti a tutto osare pur senza nulla sperare, che esiste una giovinezza intatta nella sua fede e nel suo amore che attende solo le armi per irrompere sulla via del combattimento”.
In questo periodo è spesso ricevuto da Mussolini, con cui conversa di letteratura e dei filosofi greci. Fonda il giornale Repubblica fascista, ma un articolo in cui auspica la pacificazione nazionale ne causa il licenziamento. Partito Mussolini da Milano, Borsani cerca riparo dalla faida che sta esplodendo feroce. Viene indirizzato in un istituto di Padri Barnabiti, ma essi rifiutano di accoglierlo. Viene però riconosciuto da un partigiano, che denuncia la sua presenza al Cln. Il 27 aprile del 1945 viene arrestato e portato al Palazzo di Giustiuzia. Il 29 aprile dei partigiani lo vengono a prelevare. A chi gli indica gli effetti personali del prigioniero, questi replicano: “Dove va lui non servono”. Subisce un processo sommario e viene fucilato in piazzale Susa dopo aver gridato “Viva l’Italia” stringendo una scarpina di lana della figlia. Don Tullio Calcagno, che sta per essere fucilato a sua volta, fa in tempo a dargli l’estrema unzione. Il cadavere di Borsani viene gettato su un carretto della spazzatura, con appeso un cartello con su scritto “Ex medaglia d’oro”. In questo modo gira per Milano, fino ad arrivare all’obitorio ed essere infine sepolto al Campo X del cimitero di Musocco. Sull’Italia si addensano nubi di strage e di servaggio, ma Borsani aveva scritto: “Il cielo non muta se l’occhio non lo può più contemplare”.
Adriano Scianca
2 comments
Questa era la pasta di cui erano fatti gli uomini del tempo fascista, cari Mattarella, Boldrini e compagnia delirante
Non sono fascista ma ammetto questo genere di persone non esistono più mentre il resto ovvero quella gente che ha commesso il crimine di giustiziare un invalido scrittore è purtroppo l emblema della pseudo resistenza con medaglie e premi ? Non ho parole