Napoli, 10 feb – “Un giorno all’improvviso”. Pepe Reina – all’anagrafe José Manuel Reina Páez – ha deciso di essere parte integrante della storia del Napoli. Il destino ha parecchie vie e una di queste lo ha portato a Monaco, sponda Bayern, dopo la prima annata in maglia azzurra. Ma fare il secondo a Manuel Neuer, l’attuale numero uno dei numeri uno, può portare un leader naturale a perdere il contatto con la realtà e con l’ardore di chi è abituato a masticare il campo.
“Mi innamorai di te”. Aurelio De Laurentiis in estate, dopo aver sollevato dalla incarico Rafa Benitez, ha affidato la panchina del suo gioiello a Maurizio Sarri che utilizzando la logica tanto cara alla pallacanestro, per la costruzione di una squadra, si è affidato all’asse pivot-playmaker. Difesa-attacco, la davanti Gonzalo Higuain in porta Pepe che fatti armi e bagagli è tornato alla pendici del Vesuvio.
“Il cuore mi batteva”. Scaramantico, porta la superstizione con sé sul rettangolo verde. La maglia, adornata dal numero 25, gialla – proposta anche con la nazionale spagnola, il Villareal e il Liverpool – come novello trionfatore del Tour de France è diventato simbolo di questo Napoli. Talismano da sfoggiare contro la malasorte a modo di corno – ‘o curniciello – portafortuna che diventata tramite di emozioni regalate ai propri tifosi.
“Non chiedermi il perché”. Reina ha sempre fatto discutere, amato od odiato dal pubblico del pallone. Idolatrato per la sua capacità di immedesimarsi negli ambienti dove il suo mestiere di estremo difensore lo hanno proiettato, da Barcellona a Villareal passando per Liverpool, Monaco fino a Napoli. In campo lo si può vedere difensore aggiunto, in visibilio dopo una parata, spronare la difesa, esultare ai goal dei compagni come se fossero suoi e capopopolo sotto le curve del San Paolo. Istrione parafulmini indispensabile in ogni spogliatoio, per questo messo all’indice dagli avversari.
“Di tempo ne è passato”. Una famiglia in formato maxi, una moglie e cinque figli – Grecia, Alma, Thiago, Sira e Luca – che diventano corazza di uomo, classe ’82, divenuto marinaio là dove il mare diventa cima tempestosa. Come quando in Inghilterra ha preso il posto del polacco Jerzy Dudek, eroe nella notte di Istanbul ricordo funesto per i milanisti, oppure divenendo presenza fissa con la nazionale spagnola fin da tempi di Luis Aragonés, seppur da comprimario. Gli schemi prescindono dagli uomini e per questo gli allenatori hanno bisogno di figure che dominano gli affanni e le tensioni, marinai appunto, come Pepe.
“Ma sono ancora qua”. Nel calcio moderno è divenuto simbolo anche l’approccio con i tifosi attraverso l’etere. Reina domina su Twitter, sul suo profilo si può passare da amarcord in spagnolo, a scherzi fatti ai compagni, per arrivare ad arringhe con slanci in dialetto napoletano. In un ambiente così viscerale come quello azzurro questo feeling via adsl lo erge a uomo immagine, ben più dello spendibile Pepita.
“E oggi come allora”. Spogliatoio luogo sacro, di cui ti viene insegnata l’integrità dalla prima volta in cui da ragazzino ti allacci gli scarpini. Pepe questo lo sa e ne ha fatto un vanto, difendendo a spada tratta, ma con poche e precise parole il suo allenatore nei minuti successivi allo scontro sull’asse “frocio-ricchione” Mancini-Sarri nei quarti di finale di Coppa Italia. Una guida spirituale che va ben al di là della figura ordinaria con la fascia al braccio di capitano, detenuta da Hamsik.
“Difendo la città”. Ultimo baluardo a difesa della rete che diventa simbolo di riscatto per Napoli a 26 anni di distanza dall’ultimo scudetto. Parola tabù eppure deve cominciare ad essere pronunciata così da esorcizzarla, scalfirne la solennità attraverso i calciatori che nella rosa hanno vinto e sanno come si fa. Reina in questa missione può contare sulla seconda difesa meno battuta del torneo – 19 reti in 24 giornate – proprio alle spalle della Juventus. Bianconeri che tra i pali schierano Gianluigi Buffon, l’eterno fatto a numero uno, pronto al duello rusticano con guanto di sfida lanciato che verrà raccolto dallo spagnolo sabato prossimo alle 20:45 allo Juventus Stadium. Un unico motto echeggerà: “il miglior attacco è la difesa”.
Lorenzo Cafarchio