Roma, 4 gen – “Te lo meriti Checco Zalone!”, griderebbe con buona probabilità oggi Nanni Moretti in un remake di Ecce Bombo. Come Sordi allora, oggi è Checco Zalone ad alzare in alto il vessillo di quell’Italia piccolo borghese, conservatrice, refrattaria all'”impegno”. O almeno come appare agli occhi della Concita De Gregorio di turno. Un’Italia però maggioritaria, che corre in massa al cinema a ridere di se stessa segnando la cifra spropositata di 22 milioni di euro incassati nei primi tre giorni di programmazione per “Quo Vado?”. “Mia madre” di Nanni Moretti (per citare un film a caso), in un anno di milioni ne ha incassati poco più di tre. Un successo per nulla scontato per il comico pugliese alla prova del quarto film, che come nei lavori precedenti dimostra di fregarsene del politicamente corretto e di non aver paura di scherzare su razzismo, maschilismo e tutti gli argomenti tabù del mondo contemporaneo (olocausto compreso). Questa volta si reca direttamente nella patria della convivenza “civile” e della tolleranza, in quella Norvegia dove ad essere messe alla berlina saranno famiglie allargate, multiculturalismo, nozze gay ed ecologismo. Tutta quella roba da “democrazie mature” che in Italia attecchisce meno che in nord Europa.
Ma Zalone quindi è di destra o di sinistra? Per un comico che parla di attualità, ironizzando sul mondo politico e sui “valori” attuali la domanda sorge spontanea. In molti hanno provato a “prenderselo”, da Brunetta che ne esaltava “l’anticomunismo”, fino a Marco Giusti che ha delineato un improbabile “decalogo comunista” di Zalone, in risposta all’accusa di “berlusconismo” formulata da Michele Sera, fino al ministro della Cultura Franceschini che sentenziò “oggi la sinistra non ha più paura di Checco Zalone”. La risposta è che Zalone è tutto, è un genio nazionale popolare capace con doti di sintesi fuori dal comune. E che una certa sinistra “impegnata”, nonostante le parole di Franceschini, ancora non ha capito.
E’ l’italiano medio un po’ Sordi, un po’ Fantozzi e un po’ De Sica, figlio di quell’Italia terrona e impiegatizia da Prima Repubblica, che ironizza su se stessa ma che al tempo stesso attacca senza remore tutte le liturgie progressiste e radical chic. Non prendendosi mai troppo sul serio ma risolvendo alla fine ogni cosa, a modo proprio e con una buona dose di compromesso. In “Quo Vado” poi Zalone passa in rassegna l’attualità e non risparmia nessuno: critica la Prima Repubblica e l’Italia clientelare ma anche governo e classe politica “renziana”, sempre ingiusta nonostante la patina di efficienza e modernità, tocca temi come la Val di Susa, gli sbarchi a Lampedusa, ironizza sulle differenze tra nord e sud, deride le famiglie allargate e multiculturali, sbeffeggia le donne in carriera e le pari opportunità ma anche il “maschio alfa” che non muove un dito in casa, le nozze gay, il ricordo dell’olocausto, gli italiani cafoni che vivono all’estero ma anche gli esterofili che si adattano, l’ecologismo alla Licia Colò, le cooperative, i preti antimafia e la Curia che non li difende. Insomma non si salva nessuno.
Un minestrone, un’alchimia, che si regge per dirla con Veneziani “su una semplice trovata: fa parlare un ragazzo d’oggi con le parole ingenue di pochi decenni fa, quando quei modi di dire e di pensare erano senso comune“. Il segreto è dunque nell'”anacronismo” di uno “stupido” molto intelligente, un genio comico, che oltre a due ore di intrattenimento non ha la pretesa di lanciare nessun messaggio. Se non quello che alla fine “tutto si aggiusta”. Forse il più italiano.
Davide Di Stefano