Brescia, 4 mag – Dal 23 gennaio al 12 giugno 2016 oltre cento capolavori di Canaletto, Bellotto, Guardi, Caffi e dei più importanti vedutisti veneziani del XVIII e XIX secolo, provenienti da collezioni pubbliche e private italiane e internazionali, saranno esposti in Palazzo Martinengo a Brescia dando risalto all’affascinante Venezia, città ricca di colori, atmosfere ed emozioni in una mostra ricca e particolare dal titolo Lo Splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e altri vedutisti dell’Ottocento, curata da Davide Dotti con la collaborazione dell’Associazione Culturale Amici di Palazzo Martinengo. Si tratta di un percorso suggestivo che, dopo i lavori di Canaletto, Bellotto e Guardi, nell’ultima sezione presenta dipinti realizzati nella seconda metà del XIX secolo da Querena, Guardi, Zanin, Fragiacomo e altri ancora che impressero sulla tela la grande bellezza della città lagunare: una grande esposizione dunque dedicata al tema della città-mito per eccellenza da sempre nell’immaginario collettivo di artisti, letterati, intellettuali, viaggiatori.
La Serenissima ha con Brescia un legame speciale per il passato storico, per il ruolo politico e culturale rivestito nei secoli dalla sua indiscussa magnificenza. Come sottolineato da Roberta Bellino, presidente dell’Associazione Culturale Amici di Palazzo Martinengo, la mostra di cui stiamo parlando segna un momento importante nel dibattito critico dell’arte moderna e contemporanea in quanto è la prima esposizione organizzata in Italia che affronta il tema del vedustismo attraverso due secoli e intende offrire a Brescia un’occasione unica, tesa ad ampliare l’offerta culturale del territorio.
Ma cos’è il vedutismo? Nel 1700 nasce una nuova corrente artistica chiamata in questo modo: a caratterizzare questo movimento sono le “vedute”, paesaggi sia naturali che cittadini ed è da queste che prende nome. Nel Settecento, Venezia vive in campo artistico e culturale una seconda “età dell’oro”: la città si rinnova, assumendo quel volto che per gran parte mantiene tuttora. I pittori riprendono gli aspetti più o meno noti della città lagunare per soddisfare le esigenze di famiglie patrizie, di nobili, soprattutto inglesi e tedeschi, ma anche francesi, che visitavano la città nel corso del loro “voyage d’Italie” (Venezia, Firenze, Roma, Napoli) e di coloro che pur non essendo mai stati a Venezia, intendevano decorare le loro residenze con vedute festive o feriali della Serenissima. Sono visitatori illuminati che, dallo studio accurato delle più importanti città italiane, traggono nutrimento culturale e ai quali i quadri, che rappresentano i vari aspetti di vita sociale di cui sono stati testimoni, servono a ricordare le loro stesse osservazioni. Come caso esemplare si può citare Goethe, che, ormai sulla fine del secolo, durante il suo viaggio in Italia, disegnava lui stesso alcuni panorami.
Le immagini degli scorci urbani sono anche richieste da chi, non potendo affrontare un lungo viaggio, desiderava ugualmente conoscere, almeno attraverso la rappresentazione pittorica, luoghi tanto famosi. Si tratta di vedute per lo più scrupolosissime: anzi, per ottenere maggiore verità di quanta non possa restituirla l’occhio umano, ci si serviva di uno speciale apparecchio, la «camera ottica», uno strumento ( conosciuto fin dai tempi più antichi ) che, come avviene nella camera oscura, facendo passare all’interno, mediante un piccolo foro, i raggi della luce, permetteva di proiettare l’immagine della realtà sulla superficie opposta, dove appariva capovolta e sfocata; raddrizzata e resa nitida con lenti e specchi, essa, riflessa su uno schermo di carta oleata o su un vetro smerigliato, veniva ricalcata dall’operatore.
Gli esiti delle rilevazioni della camera ottica sono comunque appunti, schizzi, successivamente rielaborati e dipinti in studio: scaraboti, ossia scarabocchi, li definiva il Canaletto, il quale aggiungeva in essi anche notazioni riguardanti il colore o le eventuali distorsioni causate dalla camera. La «camera ottica» non è certo delegata ad annullare la personalità dell’artista. Essa è uno strumento necessario, nella concezione illuminista, per riscoprire l’oggettività razionale della prospettiva, dopo che il virtuosismo scenografico barocco con le sue scenografie illusionistiche aveva impedito un esame ordinato della realtà ambientale. Il razionalismo settecentesco, ristudiando da capo le leggi prospettiche, ne verifica la validità con l’uso della macchina e offre una qualche certezza sulle modalità percettive dell’occhio umano, capaci di dar vita allo spazio figurativo prospettico, pur senza escludere alcune deformazioni dovute alle aberrazioni ottiche.
Nell’articolato panorama del vedutismo settecentesco veneziano, la pittura di vedute nella sua essenza, si lega alla percezione di un aspetto singolare, sorprendente e in definitiva capriccioso: il piacere destato dalla contemplazione di edifici, nobili o rustici che può essere comparato all’emozione del viaggiatore e dell’artista di fronte al pittoresco della natura. Anche il capriccio rovinistico, raffigurando le tracce di una perduta bellezza classica che nobilita il paesaggio con la sua singolarità estetica, desta nell’amatore il piacere di un’emozione raffinata e sottile. Vedute e capricci si inseriscono quindi ugualmente nella memoria di una sorpresa eccitante, malinconica o suggestiva ma comunque singolare. I generi si confondono: In Guardi, e perfino nel minuzioso Canaletto, non è sempre facile distinguere la veduta, il capriccio, il paesaggio immaginario.
Può sembrare strano sentir parlare di una corrente vedutista nel Settecento quando in realtà vedute naturali e cittadine sono assai presenti nella storia dell’Arte (esempio nel Rinascimento con Bellini e Mantegna). La differenza con il Vedutismo è che i paesaggi sono solo lo sfondo dell’azione umana e sono finalizzati ad essa, ossia la natura non è protagonista ed a sé stante, tanto che a volte viene creata appositamente dall’artista di modo da adattarsi all’uomo. Anche gli elementi naturali e architettonici non hanno valore reale ma un significato ideale che risulta essere sempre collegato all’uomo. Con il Vedutismo invece per la prima volta il paesaggio viene rappresentato in maniera oggettiva e “scientifica”. Quest’ultima parola risulta essere significativa e aiuta a comprendere come l’arte vedutista si ricolleghi all’ideologia illuminista secondo cui l’approccio con la realtà circostante deve essere di tipo scientifico e oggettivo e il reale compreso con i “lumi” della ragione.
Il Vedutismo si sviluppa non solo nel Settecento, ma anche nel corso dell’Ottocento, quando si assiste ad un’accelerazione del mutamento sia nelle individuali sensibilità percettive, sia nel gusto ma anche nella forma delle stessa città. Non ci resta perciò che recarci a Brescia per visitare la mostra e vivere la magia dei capolavori dei grandi vedusti veneziani.
Vanessa Bori