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Bradbury: “Neri e femministe: non ditemi cosa devo scrivere!”

by Adriano Scianca
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bradburyRoma, 13 gen – «Se un domani diventassi sindaco mi basterebbe una notte, accidenti, per pianificare, cambiare, costruire e migliorare!». È un vero peccato che a “scendere in campo” per davvero Ray Bradbury non abbia mai pensato seriamente. O forse in fondo è un bene, perché il tempo dedicato alla città sarebbe stato sottratto al mondo, il cui immaginario ha avuto bisogno di un Bradbury fino all’ultimo giorno proteso a fare la cosa che meglio gli riusciva: scrivere. Romanzi, racconti, qualche saggio. E anche tante, tante interviste. Dodici di queste sono oggi raccolte in Siamo noi i marziani. Interviste (1948-2010) (a cura di Gianfranco de Turris e Tania Di Bernardo, Bietti, € 20, pp. 293).

Il libro è un condensato di giudizi irriverenti su tutto e su tutti. Ci sono i suoi eroi, tutti decisamente pop: da Walt Disney («un genio», «mi piacerebbe che fosse sindaco di Los Angeles»), al fondatore di Playboy Hugh Hefner («è uno dei più grandi rivoluzionari del sesso»).

Per le categorie della società civile generalmente tenute in gran conto, invece, c’è solo disprezzo, siano essi giornalisti («i giornali sono il boccone di traverso della nostra epoca») o intellettuali («non appena si diventa intellettuali si comincia a mentire»).

Molte delle conversazioni vertono ovviamente sullo scrivere: come e perché farlo, perché dedicarsi alla fantascienza eccetera. Ma sonofahrenheit451 soprattutto i suoi giudizi sulla realtà politica e sociale a stupire. Che Bradbury fosse tendenzialmente un conservatore si sapeva, ma la prosa tagliente con cui vengono liquidati mostri sacri del pensiero dominante non può che stupire.

I russi, spiega, «erano l’impero del male – su questo punto, Reagan aveva assolutamente ragione». I pompieri che bruciano i libri? Vi si può vedere in filigrana ogni dittatura di destra o di sinistra, ma, sollecitato su un accostamento al Ku Klux Klan, Bradbury replica: «Anche la sinistra vorrebbe bruciare alcuni libri, ma non lo fa. Non glielo permettiamo».

Il sindaco di Los Angeles, poi, «è un grosso idiota», anche perché invece di pensare a rendere più funzionale la città «vuole costruire un monumento per gli immigrati, asettico, enorme e inutile». Meglio non parlargli di gender o cose simili: «Esistono due razze di persone: gli uomini e le donne. Poco importa ciò che le femministe vogliono farci credere». Da qui anche gli sberleffi a quei collettivi femministi che protestavano per lo scarso protagonismo delle donne nelle Cronache marziane.

bradbury2In tutto il libro c’è un disprezzo mal celato per la cultura snob, intellettualistica: «Il romanzo di New York – quello dell’intellettuale ebreo semiomosessuale di quarantanove anni – non è credibile. Ecco qual è l’argomento di un tipico romanzo newyorkese di oggi: un uomo che compie quarantacinque anni, intellettuale, pieno di sé e del suo QI. Il suo problema è: divorzierà? Andrà a vivere con la sua amante o con il ragazzo in fondo al corridoio? Ma, soprattutto, è ebreo, il che gli crea dei problemi; oppure è di colore, e questo gliene crea ancora di più».

Impressionante l’attualità di alcune pagine di Fahrenheit 451 sulla frammentazione della società in tante minoranze arroganti ed esclusiviste: Bradbury sa di aver «previsto l’avvento del politicamente corretto con quarantatré anni di anticipo».

Ma femministe o comunità etniche, per lui, possono anche andare a quel paese: «“Che siate maggioranza o minoranza, piantatela!” Che tutti quelli che vogliono dirmi cosa devo scrivere vadano al diavolo! La loro società si frammenta in sottosezioni di minoranze che, in effetti, bruciano libri, proibendone la lettura».

Figurarsi come avrà reagito uno così alle rivolte etniche di Los Angeles del 1992: «Tre delle mie figlie sono state violentate e rapinate da uomini di colore, per cui anch’io nutro dei pregiudizi. E, semmai riuscirò a trovare quei bastardi, li ammazzerò». La sua ostilità a questo genere di dinamiche sociali sfocia in parentesi radicalmente reazionarie: «Non approvo nessuna rivolta – in nessun luogo, mai». Se avesse conosciuto la Boldrini, sicuramente ne avrebbe fatto una regina cattiva di qualche impero marziano…

 Adriano Scianca

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1 commento

salvatore 13 Giugno 2015 - 10:20

dobbiamo avere tutti noi il suo coraggio ! non dobbiamo avere paura di chiamare un omosessuale così..omosessuale ! non GAY .anche se la parola omosessuale pare brutto ricorda uno che la prende male invece gay fa tanto cenetta intima a Trastevere

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