Roma, 19 mar – Era l’inizio del 1940, poco prima dell’entrata nella guerra che per l’Italia significò il disastro. A Palermo nasceva un bambino che sarebbe diventato un uomo vero, destinato a fare la storia. Il suo nome era Paolo Borsellino. È Borsellino, perché al passato preferiamo il presente eterno, e alle date di morte preferiamo accoppiare e celebrare quelle di venuta al mondo. La storia del magistrato è un esempio di dramma, questo sì. Ma anche di onore, di lotta, di difesa del bene supremo della Nazione, prima ancora che dello Stato. Insieme alla sua scorta, di cui oggi si celebra una persona in particolare: Emanuela Loi, morta a soli 24 anni, in cui onore è stato inaugurato un parco.
Borsellino, eroe italiano
In una Nazione che disconosce i suoi innumerevoli esempi umani auto-diffondendo una sorta di convinzione di una sua malignità quasi “genetica”, una figura come Borsellino è uno schiaffo in faccia. Una poderosa percossa pedagogica al depresso, al drogato o all’ignavo che prosegue spedito vero la sua morte. È un sonoro “riprenditi, reagisci!” urlato con convinzione ma con amore infinito. Nel mondo della depressione nazionale, tutti guardano a figure come Borsellino in senso quasi dispiaciuto. “È stato un eroe, si dice, ma noi italiani non siamo così”, è il riassunto della percezione popolare sulla materia. Niente di più sbagliato: solo uno sciocco – o un depresso – può pensare che in qualsiasi comunità i membri possano essere tutti eroi o anche semplicemente la maggior parte di essi. Esistono le persone comuni e poi esistono i fari, i lumi, coloro che guidano. Borsellino era uno di loro. E la sua figura ci ispira, ci motiva, ci dirige. Ben oltre la sua scomparsa.
La lotta contro il mondo
Paolo Borsellino non è stato un eroe solo quando è caduto vittima dell’attentato a Via D’Amelio nell’estate del 1992. È stato un eroe quando nel tribunale di Palermo aveva lottato contro tutto e tutti per avviare una reazione di Stato realmente energica contro la mafia. È stato un eroe quando si è isolato dal mondo insieme al collega e amico Giovanni Falcone nel carcere dell’Asinara, solo allo scopo di lavorare per difendere la comunità. È stato un eroe perché ha sempre detto ciò che pensava, davanti a tutti. È stato, anzi è. Perché la sua eternità non è in discussione.
Stelio Fergola