Home » Berlino, 1989. Caduto un muro se n’è fatto un altro

Berlino, 1989. Caduto un muro se n’è fatto un altro

by Sergio Filacchioni
0 commento
Berlino

Roma, 9 nov – Sono passati 34 anni dalla Caduta del Muro di Berlino, ma ancora oggi seppur fisicamente sparito il muro – o sarebbe meglio dire Antifaschistischer Schutzwall (Barriera Antifascista) – c’è una cortina invisibile che taglia in due il continente europeo, che ancora fatica a portare a termine quel processo di emancipazione che da Trieste nel 1953, per arrivare a Budapest nel 1956 e Praga nel 1969, ha segnato un percorso di emancipazione dagli occupanti Russo-Americani.

La caduta del muro di Berlino

Il valore di queste date non è casuale: ciò che l’Europa ha vissuto per quasi 50 anni è stata la contrapposizione in casa propria di interessi stranieri, che sulle rovine di Roma e Berlino hanno tracciato una linea d’apartheid senza precedenti nella storia delle nostre nazioni. Mai c’era stata una demarcazione così netta, mai le nostre società hanno vissuto separazioni intestine così profonde da farne portare ancora oggi i segni indelebili, mai un’occupazione era stata così capillare e pervasiva tanto da demolire dalle fondamenta psiche e volontà di popoli abituati ad essere al centro della dinamo storica. Eppure quello spirito ha saputo mantenersi, perfino attraverso il grigiore politico del centrismo e della democrazia parlamentare asservita i peggiori interessi finanziari. Se infatti il 1989 ha rappresentato un importante balzo in avanti, dall’altro ha visto avverarsi la saldatura tra marxismo culturale e liberismo che come un secondo muro ha cinto l’Europa in una maglia ancora più stretta. E quello spirito dov’è finito, invece?

Il grande ospizio occidentale

“Se la violenza dura comporta essenzialmente la repressione fisica dell’individuo, quella morbida si basa sullo sfruttamento delle sue debolezze. La prima intende trasformare il mondo in una cella di isolamento, l’altra vuole fare dell’uomo un animale domestico“. Con queste parole di Eduard Limonov riusciamo a comprendere il passaggio da una fase storica in cui l’Europa era in una cella d’isolamento a quella in cui i nostri popoli si ritrovano rinchiusi in un recinto per “bestie”. Tutto assume l’aspetto di una selezione al ribasso, di un allevamento d’uomini che però sceglie i caratteri più deboli e meno problematici: è la selezione antropologica e politica del consumismo che oggi rappresenta l’ultimo scoglio da superare per una completa rinascita che sappia mettersi alle spalle – dopo l’esperimento comunista – il “male americano”. Tutto starà nella consapevolezza politica che i giovani raggiungeranno nei prossimi anni: la sfida sociale che oggi la globalizzazione pone alle Nazioni potrebbe essere un campo fertile sul quale tornare a seminare “alberi destinati ad un’altra generazione” (usando le parole di Cicerone).

La sfida sociale

A ben guardare il modello di “Stato sociale” in Europa, almeno dai tempi di Bismarck, attraverso le esperienze europee che nella loro molteplicità e differenze che hanno attraversato i diversi paesi – sia con il contributo del Fascismo che della socialdemocrazia nei paesi nordici e della dottrina sociale della Chiesa – rappresenta tuttora un unicum nel mondo globalizzato a trazione americana e non solo. Sopravvissuto a due guerre mondiali, rimodellato nelle esperienze dei Governi di centrosinistra degli anni ’60 e ’70 in Italia, nella socialdemocrazia e nella dottrina cristiano sociale tedesca, nell’esperienza scandinava e nella tradizione sindacalista francese, a tutt’oggi non conosce eguali nel panorama mondiale. Se guardiamo il rapporto tra il cittadino/lavoratore negli Usa , in Russia o in Cina, esso è un rapporto di subordinazione molto accentuata verso la Company o lo Stato , senza un filtro di “mediazione sociale” che si esprima attraverso una “cultura partecipativa” che pur messa a dura prova dalla frammentazione dei diritti dei lavoratori, sembra resistere nel suo “nocciolo duro” solo nel Vecchio Continente perchè intrisa di una cultura politica e civile di lunga data. Serve quindi – oggi più che mai – un’Europa sociale che sappia abbattere l’ultimo muro: un’unione che sappia distinguersi dal globalismo anonimo di stampo Statunitense e Cinese; che sappia offrire una via rivoluzionaria e civile rispetto ai modelli schiavisti o para-schiavisti diffusi in molte aree del Mondo.

Sergio Filacchioni

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati