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Berlinguer: la grande “tentazione” dem

by Sergio Filacchioni
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Berlinguer

Roma, 7 dic – Il film di Andrea Segre, “Berlinguer – La grande ambizione“, è una grande tentazione e rappresenta appieno il problema dell’Italia con la sua storia: rifiutare la complessità per creare santini. Berlinguer è film “manifesto” che attraversa anni torbidi con una superficialità agghiacciante, ma ciò che è peggio, fa da propaganda al mondo dem.

Berlinguer: la grande tentazione

Evidentemente anche a sinistra hanno capito il trucchetto della “fiamma”. Come spiegare altrimenti la grande operazione nostalgia che è ruotata intorno all’uscita nei cinema del film con protagonista Elio Germano? Dietro il film si rivela la necessità della sinistra moderna di riallacciarsi alla storia del “glorioso” Pci, come FdI ha fatto con la fiamma appunto, quella del Movimento Sociale. Ma ovviamente non può riallacciarsi né a quello di Gramsci né a quello di Togliatti: c’era bisogno di trasformare Enrico Berlinguer in un santino liberale. Attenzione: chi scrive non crede esista un comunismo “vero” e un comunismo “tradito”. Da Gramsci a Occhetto ogni fase della sua storia contiene in nuce la svolta social-democratica, quindi progressista e propriamente dem che proprio durante la segreteria di Berlinguer inizia a prendere forma, seppur nello spunto interessante di rendersi indipendente da Mosca. E in effetti il film passa solo attraverso determinati momenti, planando sopra gli eventi e appiattendo la figura del sassarese su quella di un proto-liberale. A notarlo sono stati esponenti storici della stessa sponda: da Nanni Moretti che sul palco ha gelato tutti con un “anche voi lo avreste odiato“, a Luciana Castellina – storica firma de Il Manifesto (gruppo espulso dal Pci nel 1969) – che ha finito per smascherare l’operazione: “Con un Berlinguer così democratico e accomodante, rischiano di finire per pensare [i giovani] che la speranza sia il Pd“. Insomma il “liberale scialbo” che rompe con la Russia e il Partito Comunista Sovietico; che apre al compromesso storico solo per riforme e diritti civili; che dichiara di voler rimanere nella Nato e guarda con speranza alla presidenza Carter. Nel film sono queste le fasi che vengono affrontate, lasciando in secondo piano quelle che furono i fortissimi contrasti interni alla direzione del Pci, in primis con Pietro Ingrao, e soprattutto lasciando intendere che questa “grande ambizione” altro non fosse che la democrazia. Da Berlinguer a Elly Schlein: qualcuno in buona fede potrebbe arricciare il naso – in effetti la differenza antropologica è tanta – ma questo è il messaggio che contiene il film, e forse non è nemmeno così distante dalla realtà dopotutto.

La grande occasione

Insomma in Italia non perdiamo mai occasione per raccontarci sempre la stessa storia, accomodante un po’ per tutti: il gelido Andreotti, l’appassionato Berlinguer, l’eversione nera e le Br contro il compromesso storico. Anche questo film rinuncia a raccontare una storia più complessa per porre dubbi e domande, riproponendo le solite parole d’ordine sugli Anni ’70 che ormai si sono sedimentate come calcare. Non sarebbe stato più interessante vedere Berlinguer e Almirante a colloquio segreto, in una delle cinque o sei volte che si incontrarono tra il 1978 e il 1979, nel “clou” degli anni di piombo? Non sarebbe ora – anche alla luce di quel che sta succedendo nell’Oriente vicino – di affrontare il caso Moro nella sua complessità? L’apertura governativa ai comunisti evidentemente centrava poco o niente – forse contava solo per le BR come militanti politici – sicuramente non per chi gli stava sopra e che piuttosto guardava con cattivo occhio alla politica araba e filopalestinese del presidente della Dc. Insomma, il cinema è un mezzo potente e non ci si può più accontentare più delle patine dorate sui bei vecchi tempi: è vero i film non possono e non devono essere documentari, ma le storie possono scendere in profondità, soprattutto in un periodo come questo dove il tono politico ricade spesso su quegli anni con una superficialità disarmante. Si tratta del “potere redentore del cinema“, quello di cui parlava Sergio Leone, prima di votarsi definitivamente alla dinamite…

Sergio Filacchioni

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