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Bene ma non benissimo: Justice League paga il “siluramento” di Snyder

by Carlomanno Adinolfi
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Roma, 20 nov – Un rumor ricorrente riguardo Justice League, il nuovo film della Warner Bros che per la prima volta nella storia porta al cinema la squadra degli eroi dei fumetti DC, sosteneva che Zack Snyder, il “creatore” del nuovo corso cinematografico DC e già regista di Man of Steel e Batman v Superman, nonché ideatore e supervisore di Wonder Woman, fosse stato messo da parte a produzione in corso per fare in modo che il film prendesse una piega del tutto diversa da quella pensata dal suo autore. C’era chi, innamorato della visione snyderiana, lo temeva fortemente così come c’era chi, avendo gusti agli antipodi del regista di Green Bay, lo sperava pregustando un cambio di rotta del mondo DC. Alla fine, purtroppo, sembra che resteranno deluse entrambe le parti.
Come molti sanno Zack Snyder ha dovuto abbandonare la produzione del film a fine maggio per un grave lutto familiare – la figlia Autumn si era appena suicidata – proprio alla vigilia delle riprese aggiuntive che si sarebbero dovute girare in estate. Il reshoot e la fase finale di post produzione stono state affidate a Joss Whedon, “nuovo acquisto” della DC e già regista dei primi due Avengers, ovvero la “controparte” Marvel proprio della Justice League. Da quel giorno fino alla data dell’uscita del film, si sono rincorse le voci sul fatto che in realtà la Warner abbia “approfittato” del lutto per sostituire Snyder con un regista che avrebbe guidato un nuovo corso più commerciale e meno autoriale in seguito alle feroci critiche da parte della stampa di settore e non solo, nonostante una grossissima fetta di pubblico avesse strenuamente difeso il lavoro di Snyder.

Nonostante un successo grandioso in Europa, proprio per l’autorialità e lo spessore dei temi trattati nei film di Snyder, in Usa il film aveva incontrato sacche di resistenza da una cultura di massa che quando si parla di cinecomics preferisce prodotti del livello di Thor: Ragnarok. E con una manifestazione di pavidità fuori dal comune la Warner sembrava aver accusato il colpo e deciso di virare rotta, cogliendo la palla al balzo una volta “tolto di mezzo” Zack Snyder. Ma alla fine, cosa è successo veramente? Probabilmente non lo sapremo mai, o forse lo sapremo a breve nel caso qualcuno vorrà togliersi dei sassolini dalla scarpa. Ma il film Justice League sicuramente risente di una forte pressione dei produttori che hanno imposto un rimaneggiamento abbastanza pesante sul film in fase post-produzione. In primis sembra che Tsujihara, il CEO della Warner Bros, abbia imposto una durata massima di due ore, il che è un paletto abbastanza pesante per un film che deve mettere insieme per la prima volta cinque (o meglio sei…) protagonisti che dovranno essere il cardine dell’universo cinematografico della DC, visto e considerato soprattutto che film di questo genere durano almeno 140 minuti. Sembra poi che la WB abbia imposto un cambio di tono, più “light” rispetto ai primi due capitoli targati Snyder.

Il regista aveva già impresso un cambiamento in tale direzione ma pare proprio che Whedon abbia dovuto metterci ancora più mano. Il risultato è che tra tagli obbligatori per ridurre il minutaggio – per la prima volta ho assistito a un film in cui metà delle scene presenti in un trailer non erano presenti nella versione cinematografica – e reshoot di dialoghi per “alleggerire” il tono, il film sia risultato depotenziato rispetto al suo valore iniziale. Il che, ovviamente, lascia un po’ di amaro in bocca sia ai fan di Snyder sia ai suoi haters, visto che il film alla fine non riesce nemmeno ad essere un cambio di rotta ma solo un pauroso “abbiamo provato a venire incontro ai gusti dei nostri nemici facendo mezzo passettino indietro”. Il che, come si sa, non paga mai. E infatti i primi dati del botteghino non sembrano dare ragione alla folle politica della Warner. Ma torniamo al film. Justice League in sé non è affatto un brutto film, anzi. Per buona parte è anche un buon film con alcuni picchi di qualità, ma non è il film epico che doveva puntare ad essere. Quando la Marvel produce i suoi film sugli Avengers, fa in modo che siano il punto apicale ed epocale della storia che i suoi personaggi hanno vissuto nei loro film precedenti. Justice League non lo è, come abbiamo detto è un film che prova ad affacciarsi in sordina per non attirare critiche, ma questo è un errore gravissimo che in qualche modo affossa il film, soprattutto un film di questo genere. Poi c’è il problema dei tagli: il film durando due ore risulta leggero e abbastanza scorrevole, il che sembrerà un pregio ai geni del team Tsujihara, ma lascia troppo accelerati e frettolosi alcuni passaggi, soprattutto molte scene palesemente ridotte – su tutte la scena ambientata ad Atlantide – che si risolvono in pochissimi minuti quando avrebbero meritato, così come erano pensate, un’ampiezza molto maggiore. A quel punto meglio toglierle del tutto.

Altro problema relativo ai tagli è che alcune scene sono un po’ troncate con l’accetta, il montaggio in alcuni passaggi è singhiozzante e si nota anche il “passaggio” tra una scena girata da Snyder e quella rigirata da Whedon. Non è una cosa che dà troppo fastidio se non agli occhi dei più attenti ai dettagli tecnici ma è una cosa che a volte si nota. E poi c’è il problema della CGI. Il villain del film, l’alieno Steppenwolf, fatto totalmente in digitale, sembra uscito da un gioco della Play Station. Non è neanche malissimo quando lo inquadrano in primo piano, ma i problemi sono evidenti quando si muove, risultando grottesco. Anche i movimenti di Batman mostrano un deciso passo indietro rispetto a quanto visto in Batman v Superman, risultando fin troppo poco naturali, ma anche la corsa di Flash sembra spesso quella del protagonista del gioco QWOP – chi lo conosce sa che non è esattamente un pregio, anzi. Insomma in fin dei conti il problema sta tutto nella post produzione in cui la Warner ha messo troppo mano al lavoro del regista, e non è la prima volta che la cosa viene “denunciata” come un grave difetto della casa di Burbank.

Ma il film ha anche molti pregi, e forse si riducono tutti a un nome solo: Zack Snyder.
Partiamo dai personaggi: funzionano tutti. Il Batman di Affleck oramai ha convinto anche scettici e nostalgici di Bale e ha fatto innamorare tutti i batmaniani di ferro – tra cui il sottoscritto. La prima scena in cui appare, in un contesto dark-gotico che strizza l’occhio all’acclamata serie animata di Bruce Timm e in cui appare appollaiato al buio tra i fulmini su un gargoyle di Gotham City, con tanto di auto-marchetta da parte del compositore della colonna sonora Danny Elfman che reintroduce il suo Batman Theme del film di Burton del 1989, provoca un brivido di godimento che solo i nerd possono provare, ma che esteticamente trova il piacere di tutto il pubblico.
La Wonder Woman di Gal Gadot, oltre che di una bellezza disarmante, è sempre più convincente ed è la sublimazione di quella vista in Batman v Superman – molto più che di quella vista proprio in Wonder Woman che, essendo un film prequel sulle sue origini, la presenta nel suo periodo ancora acerbo e meno consapevole. Jason Momoa è forse uno dei punti di forza del film. L’attore famoso per aver interpretato Khal Drogo nella serie Il Trono di Spade indossa qui i panni del re atlantideo Aquaman, conosciuto tra i nerd per essere il supereroe più sfigato del mondo DC ma che qui diventa un concentrato di forza, guasconeria ed eroismo che fa ben sperare per il prossimo film a lui dedicato e diretto da James Wan che uscirà il prossimo anno. Anche se le scene sott’acqua ancora risentono di qualche problema “grafico” da risolvere quanto prima, il personaggio di Aquaman è sicuramente uno dei picchi di qualità del film.

Anche il Cyborg interpretato da Ray Fisher, personaggio assolutamente minore nel mondo DC ma evidente quota nera obbligatoria nel film, risulta riuscitissimo nonostante molte scene con lui come protagonista siano state tagliate in fase di post-produzione. Troppo cupo, dicevano, ma il punto di forza è proprio la sua interpretazione di un uomo-macchina che vive il dramma di non sentirsi più umano e che non vuole diventare robot, ma che nel momento più buio capisce che deve diventare qualcosa che non sia né uomo né macchina ma anzi un qualcosa di totalmente altro, e alto. Forse il punto debole del gruppo è il Flash interpretato da Ezra Miller, che nella parte comica del team spesso esagera, ma che in qualche scena lascia intravedere potenzialità interessanti sulla sua trama e sulla sua futura caratterizzazione. Perfetti poi i “comprimari” Alfred, interpretato dal grande Jeremy Irons, e anche il commissario Gordon, interpretato da J.K. Simmons che lascia intravedere le potenzialità per un signor personaggio. Ma oltre ai singoli a funzionare è l’alchimia tra il gruppo, le interazioni tra i personaggi sia quando inizialmente dubitano l’uno dell’altro sia quando si uniscono, e qui il merito va sicuramente diviso con Whedon che al di là di scene che può aver riscritto o rigirato già collaborava con Snyder dall’inizio del film proprio su questo aspetto. Ma oltre ai personaggi, è tutto ciò che non è stato de-snyderizzato ad essere il vero picco qualitativo del film. Sappiamo che Snyder è stato amato, ed odiato, per aver inserito nei suoi film temi che vanno ben oltre il semplice aspetto nerd-fumettistico. Dopo aver portato su schermo due tra le graphic novel più impegnate di sempre, Watchmen di Alan Moore e 300 di Frank Miller, Snyder era riuscito ad alzare l’asticella persino nei cinecomics main stream. In Man of Steel era riuscito a riscrivere per intero la mitologia di Superman. L’eroe nato dalle matite di Jerry Siegel e Joe Schuster come nuovo Mosè salvato dalle acque e Messia di stampo talmudico-vetero testamentario diventa ora un eroe solare, un ponte che mostra all’umanità che può diventare eroica e ergersi sopra la massa, diventando simbolo della Speranza che non è qui intesa con l’auspicare che vada tutto bene ma che riprende il concetto vero della parola che sia nelle lingue latine che in quelle anglo-germaniche deriva da un termine che indica la tensione verso l’alto, concetto poi ripreso, come vedremo, anche in Justice League.

La simbologia e l’estetica vetero-testamentaria della colonizzazione della terra promessa erano state poi affidate tutte al villain, Zod di Kandor, mentre il piccolo Superman che porta in sé il codice genetico degli avi non per ricolonizzare una terra promessa dalla sua razza ma per accendere un nuovo Fuoco che porti l’Umanità verso traguardi superiori fa di lui molto più un Enea che non un Mosè. In Batman v Superman Snyder aveva addirittura esagerato, facendo di Batman l’archetipo del cacciatore primordiale e quindi del Guerriero, con tanto di simbologia della Montagna inaccessibile che Superman scala per poter parlare coi propri antenati e con un cattivo, Luthor, che incarna lo spirito luciferino-prometeico della hybris che vuole abbattere gli dei per non avere altezze con cui confrontarsi mentre Batman lotta per poter raggiungere quelle stesse vette che auspica, insieme a Superman, per l’umanità intera. In Justice League non raggiungiamo queste altezze, ma l’etica metafisica di Snyder irrompe neanche troppo carsicamente in tutto il film. Tolte un paio di marchette politico-sociali nei primissimi minuti di film, la squadra di supereroi si scontra con l’alieno Steppenwolf, araldo della Madre che vuole riportare il cosmo al caos unitario indifferenziato tramite una energia cosmica che crea e distrugge in maniera cannibale tutto ciò che ha appena creato. Di fatto la Justice League combatte contro una Big Mother che viene invocata come un demone cosmico lovecraftiano, anche se purtroppo solo a parole visto che di più pare non potesse esprimere. Batman assurge sempre più ad archetipo di guerriero marziale che vigila, la sentinella silenziosa che non si occupa di capire il mondo perché il suo solo scopo è quello di proteggerlo e combattere contro i suoi nemici esterni. E che non si pone mai il problema del proprio sacrificio: se è necessario per la Vittoria, lo si deve compiere. Wonder Woman, anch’essa totalmente ribaltata dall’archetipo femminista e matriarcale del suo creatore, lo psicologo William Moulton Marston, rappresenta la scintilla divina di Zeus che sopravvive alla morte degli Dei per continuare a guidare gli Uomini. E la morale conclusiva dal tema solstiziale, espressa dall’editoriale di Lois Lane, spiega che l’oscurità più grande non è l’assenza di Luce ma l’arrendersi al fatto che questa non possa più tornare, mentre compito di tutti noi è proprio quello, nell’ora più buia, di tendere verso l’alto con lo sguardo al cielo – la famosa Speranza, tema di Man of Steel e del nuovo Superman, viene così finalmente ed esplicitamente spiegata – affinché la Luce possa sempre sorgere e sconfiggere il buio.

Ma purtroppo tutto questo rimane un po’ sullo sfondo, senza il doveroso spazio che avrebbe meritato in un film del genere. Ora non resta che aspettare cosa ci aspetta nel futuro dei cinecomics. L’impressione è che lo spartiacque segnato da Snyder non voglia essere superato e che si preferisca rimanere sui toni cartooneschi, piatti e demenziali. Lo stesso Snyder probabilmente non prenderà più parte ai prossimi progetti DC – se non altro regista e produzione molto probabilmente hanno perso la fiducia reciproca – e la Warner Bros sembra proprio che non abbia ancora capito cosa voglia fare da grande. O meglio cosa voglia fare una volta resasi conto di essere stata grande e aver avuto paura di esserlo, preferendo alla fine di voler tornare massa e farsi bacchettare quando si prova ad alzare la testa.

Carlomanno Adinolfi

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1 commento

Alberto 25 Novembre 2017 - 2:50

Recensione perfetta, complimenti all’autore.

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