Roma, 2 mar – Lucio Battisti non era certamente di sinistra. Tra le tante voci più o meno confermate e mai comprovate con assoluta sicurezza, questo dato è difficilmente smentibile. Le recenti dichiarazioni di Mogol, che ha sempre ostinatamente cercato di deviare dalle “accuse” di fascismo lanciate sia al cantautore che alla sua persona, confermano per lo meno questa tendenza, per l’ennesima volta.
Battisti, la sinistra e una carriera sotto torchio
Battisti, come tutti gli artisti post-bellici, ha dovuto affrontare, in un modo o nell’altro, il demone della sinistra. Molti di loro abbracciarono appieno l’universo orbitante intorno al Pci e all’egemonia culturale che avrebbe costruito in meno di vent’anni, decisiva per controllare definitivamente la Nazione. Alcuni di essi erano provenienti proprio dall’ “universo nero”, come Dario Fo, giustificando il loro salto della quaglia in modi non sempre credibili. Tra chi ha resistito fino in fondo, figura invece Giorgio Albertazzi, il quale fino a pochi anni prima della sua morte rivendicava addirittura sul proprio sito web ufficiale, pure con un certo piglio orgoglioso, di essere stato volontario nella Rsi.
Su Battisti fascista molto si è rumoreggiato e poco si è confermato (sebbene i finanziamenti per cui il cantautore venne tenuto sotto osservazione dai servizi segreti, diretti all’estrema destra, qualche legittimo dubbio non possano eluderlo). Di certo c’è la distanza dal pensiero di sinistra del tempo, nella fattispecie comunista, almeno quanto le sperticate e continue smentite del Rapetti (cioè di Mogol) sulla questione, rilanciando il solito e francamente ridondante “non era interessato alla politica”. La realtà desumibile appare molto più semplice: Battisti era legittimamente concentrato sulla propria carriera, e non voleva rogne. Qualsiasi sia la verità che Mogol con grande preoccupazione e costanza ci tiene sempre a ricordare. Perché ad Albertazzi le cose girarono tutto sommato bene, ma si tratta di un’eccezione che, in ogni caso, non rappresenta certezza: meglio stare fuori dai guai. Quindi meglio continuare ad assecondare su un punto: Battisti, il cantante del sentimento, del cuore e della profonda sensibilità, non può e non deve essere fascista. Qualsiasi sia la verità. Incarnante un imbarazzo che, da sinistra, si palesa anche in altre occasioni.
Un imbarazzo profondo per l’arte sentimentale “non rossa” o apertamente nera
Un’altra certezza, sullo sfondo ma nemmeno troppo, è la difficoltà con cui la sinistra si trova ad affrontare casi artistici incentrati sulla poesia, sul sentimentalismo e sull’umanità che non siano affini al proprio modo di pensare e di vedere il mondo, e che in taluni casi hanno manifestato apertamente visioni ideologiche direttamente di tipo fascista. L’esempio classico è Luigi Pirandello, definito in modo ambiguo da molti testi scolastici, consapevoli di non poterlo proprio buttare al macero come si dovrebbe, da mantra antifascista, in una “sana repubblica nata dalla resistenza”: il peso letterario è troppo enorme, troppo ingombrante. Quindi tanto vale non parlarne, o eludere la questione inventandosi di sana pianta disprezzi del letterato siciliano verso il littorio. Basti pensare al popolarissimo “Dal testo alla storia, dalla storia al testo”, curato da Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria: si tratta di uno dei libri di letteratura italiana più usati nelle scuole, che al capitolo riguardante Pirandello immaginava una sorta di demone interiore che affliggeva lo scrittore per la sua adesione al fascismo che (testualmente) “nel tempo si sarebbe trasformata in un celato dissenso”. Fonti? Zero. O meglio, le sensazioni degli autori. Era troppo scomodo – e lo è tutt’ora – che un poeta e un letterato come Pirandello, esprimente sentimenti, amore, interiorità potesse essere addirittura fascista. E chissenefrega se si fece seppellire in camicia nera.
L’unico poeta “tollerato” dalla sinistra sotto questo profilo è Gabriele D’Annunzio – peraltro, fino a un certo punto anch’egli – ma per questioni di mero attivismo politico che si concretarono in azioni concrete come quella di Fiume. Oltre che per le sue note perversioni erotiche che ben si sposano con la stigmatizzazione moralista. Il passato è utile al presente: quello in cui un “buono” può essere solo il volontario di una Ong, ovviamente di sinistra, animato da cuore e profondi sentimenti, nella sua attività di “salvataggio” di schiavi trafficati in Europa. Perché, alla base, c’è ciò che non è nient’altro che una imposizione antropologica, vivente nel passato esattamente come nel presente.
Stelio Fergola