Roma, 16 gen – Quando si accede al magico mondo del giornalismo italiano, è sempre bene tenere a mente una regola aurea: posto un determinato problema oggettivamente noto, se tutti i giornali, tutti i Tg e tutti i talk show indicano per esso una determinata causa, allora si ha la certezza pressoché matematica che stanno mentendo. Il caso Mps, ed in generale dei crediti inesigibili (Non Performing Loans, Npl) delle banche italiane, che probabilmente si assestano intorno ai 400 miliardi di euro (a spanne, il 10% del loro bilancio), ne è una dimostrazione. Negli ultimi giorni si è scatenata la gara a “rivelare” i nomi dei “grandi debitori” che con la loro “condotta” avrebbero affossato in particolare l’istituto senese che di Npl conta 47 miliardi. Per evitare fraintendimenti da parte dello spirito forcaiolo sempre in agguato a sinistra, bisogna aprire una doverosa parentesi: il metodo utilizzato dai media per distogliere l’attenzione dai problemi reali della popolazione, è nei fatti geniale. Prendiamo la questione del taglio della spesa pubblica che ci viene presentato come panacea di ogni male: l’italiano medio, giustamente inferocito con un sistema tributario che “intermedia” il 45% del Pil, quando sente parlare di spesa pubblica automaticamente pensa alla propria oscena classe politica che vive di cocaina, transessuali, auto blu, alloggi faraonici e nepotismo bizantino. Il che è ovviamente vero, ma si dimentica il piccolo particolare che, essendo che è quella stessa classe che decide dove tagliare, ben difficilmente toccherà i propri stessi privilegi. La strategia è semplice: si scelgono degli impresentabili, indifendibili persino agli occhi dei propri genitori, e li si trasforma nella causa di ogni male. Chi diavolo potrà mai avere la “brillante” idea di difendere De Benedetti, la cui Sorgenia è indebitata con Mps per 600 milioni e non ha la benché minima voglia (ne facoltà) di onorare il debito?
Certamente, se la questione la si affronta da un punto di vista macroeconomico, il debito singolo di De Benedetti risulta decisamente altra cosa rispetto alle dimensioni del problema. Dal 2011 ad oggi abbiamo perso il 25% della nostra produzione industriale, il che se la logica non è un’opinione, equivale al fallimento di decine di migliaia di imprese, con conseguente disoccupazione di massa. Forse non ci si rende ben conto di cosa questo voglia dire: un quarto del nostro settore manifatturiero è andato perduto, e non sarà sicuramente sostituito dal “turismo” o altri business da tailandesi. Ebbene, quello che non si vuole far capire alla gente puntando il dito contro il “moral hazard” di singoli individui certamente criticabili è che il problema è estremamente più semplice. Le imprese sono spesso debitori delle banche, i dipendenti delle stesse sono spesso debitori delle banche ed i fornitori delle medesime sono a loro volta spesso debitori delle banche. Non ci vuole un genio a capire che se ad un certo punto i debitori iniziano a saltare per aria uno dopo l’altro senza soluzione di continuità, è altamente probabile che i creditori qualche danno potranno soffrirne. È nella logica dei fatti, ma per riconoscere questa banalità bisognerebbe riconoscere che il problema è strutturale, perché nel 2011 qualcosa è successo, e di molto preciso: il governo Monti, indi l’implementazione delle politiche di austerità.
L’abbiamo già detto, ma è necessario ripeterlo ancora una volta: l’austerità non è un atto malvagio di uno psicopatico sadico ed asociale per fare del male al prossimo e godere delle disgrazie altrui, ma una razionale misura di politica economica necessaria a mantenere la bilancia commerciale in tendenziale equilibrio senza mettere in discussione l’Euro. In altre parole, l’austerità serve ad abbattere le importazioni, e far recuperare competitività alle imprese rimanenti (darwinisticamente indicate come più “efficienti”) attraverso il crollo verticale dei salari causato dalla disoccupazione involontaria di massa. Detta austerità presenta anche un problema imbarazzante: nel lungo periodo ammazza anche le banche, che non riescono più a rientrare dei propri crediti. E questo potrebbe essere un problema persino per l’oligarchia finanziaria che comanda in Occidente, essendo il sistema bancario la ovvia spina dorsale di quello finanziario. Per questo a Bruxelles è stata trovata una soluzione geniale, che permetta, come nel noto indovinello, di salvare al contempo capra e cavoli.
Una banca ha degli impieghi (attivi di bilancio) inesigibili pari alla cifra X? Che problema c’è, basta consentirle a stretta norma di legge di non rimborsare fonti (passivi di bilancio) per X euro, e così il bilancio torna in pareggio e siamo tutti contenti. Tutti tranne i debitori delle banche, ovvero…i risparmiatori tutti. Non si illuda il lettore di potersela cavare solo perché non è fra quei 40.000 che ha acquistato obbligazioni Mps, perché il testo del bail in alla lettera parla anche di correntisti, e fino a prova contraria tutti hanno un conto corrente. Ci dicono che ad essere colpiti saranno solo i depositi superiori a 100.000 euro, ma anche quella è una balla dato che il fondo interbancario di tutela dei depositi è a secco.
Inutile farsi illusioni: o si affronta la questione in modo conseguente, rimettendo in discussione l’Euro ed i vincoli europei, oppure tanto vale leggere l’Eco del Manettaro e sperare di far parte di quella ristretta cerchia di professionisti ultra-tutelati che non saranno mai sfiorati dalla questione. Anche se, su 60 milioni di Italiani, è abbastanza probabile che non siano in troppi.
Matteo Rovatti