Milano, 27 dic – Al 36’ del secondo tempo di Inter-Napoli, il difensore partenopeo Kalidou Koulibaly stende l’ala nerazzurra Matteo Politano, che l’aveva superato in corsa e stava puntando la porta avversaria. È fallo tattico e, quindi, ammonizione. Sacrosanta. Ma Koulibaly non ci sta e applaude ironicamente e platealmente l’arbitro. Mazzoleni, il direttore di gara, applica dunque il regolamento e lo espelle. Di lì a qualche minuto (al 91’) la zampata decisiva del centravanti dell’Inter Lautaro Martínez regalerà il successo ai nerazzurri (1-0). Un boccone amaro da digerire per Carlo Ancelotti, l’allenatore del Napoli. Che, invece di guardare al campo, se la prende con gli «ululati razzisti» rivolti dalla tifoseria interista al senegalese Koulibaly: «Kalidou è stato preso di mira dai razzisti, l’espulsione nasce dalla mancata serenità. Abbiamo chiesto tre volte la sospensione della partita, ma niente».
Carletto insomma, per smaltire la rabbia della sconfitta, la butta in caciara (e in politica): «Abbiamo chiesto alla Procura federale tre volte la sospensione della partita, Koulibaly si è innervosito, è normale. Solitamente è educato e professionale. Hanno fatto tre annunci a San Siro, ma non si è fatto niente di più. La soluzione? Interrompere la partita, vorremmo solo sapere quando. La prossima volta lasceremo il campo noi e al limite ci daranno partita persa. Non è una scusa, non riguarda il Napoli, ma tutto il calcio italiano». Ecco, questo è il punto: dei professionisti non si lasciano influenzare dai cori – per quanto beceri – dei tifosi, ma rimangono concentrati sulla partita. Altrimenti cambiano mestiere.
Ma qua siamo ancora su un piano che è tutto sportivo. Andiamo al piano politico, che è poi quello che più ha interessato i buonisti dei media mainstream. Ebbene, l’interpretazione letterale dei cori da stadio ha stufato. È ovvio che i cosiddetti «ululati razzisti» non sono altro che un modo per infastidire la squadra avversaria. Non hanno nulla (o comunque pochissimo) a che fare con la razza e il razzismo. Ieri per l’Inter, infatti, sono scesi in campo sia il ghanese Kwadwo Asamoah che Keita Baldé, senegalese e dunque connazionale di Koulibaly. Ma – chissà perché – solo il difensore del Napoli è stato «beccato» dalla tifoseria interista.
Stesso discorso per la cosiddetta «discriminazione territoriale»: dalla Curva Nord è partito il solito coro «Oh Vesuvio lavali col fuoco», ma in nerazzurro ieri ha giocato anche il terzino destro Danilo D’Ambrosio, napoletano doc. Eppure, il difensore interista non ne ha risentito minimamente. E, del resto, nel 2013 furono gli stessi tifosi napoletani a contestare la punizione inflitta ai «colleghi» milanisti per aver cantato inni anti-partenopei, inscenando una curiosa e brillante protesta. Ecco, da un ex giocatore e allenatore di vaglia come Ancelotti, che conosce perfettamente il mondo del calcio e le sue dinamiche, ci saremmo attesi più elasticità e buon senso. E, invece, Carletto ha deciso di giocare la carta anti-razzista, piegandosi così al politicamente corretto. Proprio come fece due anni fa Roberto Mancini con Maurizio Sarri (era sempre un Napoli-Inter), che diede del «frocio» al collega, oggi ct della Nazionale. Insomma, un vincente come Ancelotti stavolta ha preso la scorciatoia dei perdenti.
Valerio Benedetti
2 comments
Con i soldi che guadagnano, sudore e concentration, sino all’ultimo secondo, ma dimenticavo italia………..
Nel mondo del calcio i cori sono sempre esistiti, quelli del nord contro quelli del sud e viceversa, le offese contro l’aspetto di un giocatore sono state sempre presenti e anche contro gli arbitri, fischiare contro uno che non piace mi ricordo di una finale uefa che vidi anni or sono durata 120 minuti, l’insulto continuo verso un giocatore BIANCO. Al tempo Ancelotti giocava ed era viscido come adesso, infatti non faceva caso a queste manifestazioni traboccanti d’odio…! Oggi invece si, perché è stato offeso uno di colore. Con questi pezzenti italiani dalle mille facce e pieni di soldi, tra un po’ l’italia cesserà di esistere.