Roma, 6 feb – Tratta dal romanzo Bay City di Richard Morgan del 2002, la serie cyberpunk Altered Carbon è uscita su Netflix il 2 febbraio, sospinta anche dall’onda lunga di Blade Runner 2049, uscito lo scorso ottobre. L’opera è carica di influenze che vanno dal cyberpunk classico di William Gibson alla fantascienza di Philip K.Dick, passando per l’universo distopico di Metropolis, per il noir eccellente di Chinatown, fino ai riferimenti ben più recenti a Black Mirror e Westworld, ma mantenendo stabilmente una propria identità che mescola tra loro tutti questi elementi e ne aggiunge di nuovi.
La storia è ambientata nell’anno 2384 del XXIV esimo secolo, in un futuro dove la coscienza umana è trasferibile, con tutti i propri ricordi ed esperienze, su un supporto digitale localizzato alla base del collo, che rende la vita potenzialmente eterna e i corpi fisici (originale, sintetico o clonato) una mera custodia dove scaricare l’identità precedentemente immagazzinata: la morte non è dunque più un ostacolo, almeno non per i facoltosi Mat (da Matusalemme), la ricchissima classe dirigente dell’intero universo, che può permettersi sempre nuove custodie umane e back up satellitari della propria individualità. Takeshi Kovacs, ex mercenario e ultimo degli Spedi (una speciale unità militare composta da una sorta di super soldati addestrati a combattere e sopravvivere nelle situazioni più impossibili) viene liberato dopo 250 anni di carcere e “scaricato” nel corpo che era in precedenza di un agente di polizia di Bay City, Elias Ryker, per volere di Laurens Bancroft, uno dei Mat più potenti della Terra, che desidera che Kovacs indaghi sul suo supposto suicidio, avendo perso tutti i ricordi antecedenti all’ultimo back up ed essendo convinto di essere stato vittima di omicidio. Tra flashback della precedente vita di Kovacs e sottotrame che finiranno per confluire nella soluzione del caso, gli eventi prenderanno svolte inaspettate più di una volta, portando ad esemplari colpi di scena e ad un finale che, sebbene apra chiaramente le porte alla possibilità di una seconda stagione, è funzionale anche in caso che non vi sia un seguito a questa ipotesi: nulla rimane davvero sospeso e la sensazione è di aver visto una serie completa, che basta a se stessa nei suoi dieci episodi.
Alcuni tra i detrattori di Altered Carbon, come Indiwire o NBC, lo hanno accusato di eccessivo uso del cosiddetto gore porn, ossia quel misto di scene di nudo, violenza, tortura e mutilazioni che ebbe i propri giorni di gloria nei primi anni 2000, all’uscita nelle sale di Hostel, ma si tratta di un’imputazione infondata e faziosa. Le scene violente in Altered Carbon difatti, sono sì moltissime, ma non hanno alcuna pretesa “pornografica”, non sono volte a gratificare lo spettatore ma a dare profondità all’orrore di talune situazioni, fino a far distogliere lo sguardo dallo schermo. Un’altra curiosa insinuazione è quella del Time, che taccia la serie di essere “retrograda nel trattamento di classe, genere e razza” (cit.) e della caratterizzazione del personaggio di Kovacs, definito senza mezzi termini come “uno 007 che non ne ha il fascino”. Ma forse la vera accusa celata in questa frase è che la serie non sia sufficientemente politicamente corretta per gli standard attuali dello show business: il protagonista è un maschio bianco che si comporta con onore e coraggio, che non piagnucola e non tradisce, che difende le sue donne, per quanto forti ed indipendenti esse siano. Takeshi Kovacs rispecchia a suo modo l’archetipo epico dell’Eroe, e questo è, se non intollerabile, quanto meno non auspicabile per molti al giorno d’oggi, in particolare per la grande macchina propagandistica di Hollywood e compagnia. Ma a noi Altered Carbon è piaciuto molto, forse anche proprio per questo, permettendoci così di perdonargli anche qualche défaillance nei dialoghi e qualche falla minore nelle sottotrame.
Alice Battaglia
Altered Carbon: il cyberpunk sbarca su Netflix
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