Roma, 17 ott – Renzi ha ormai imposto, con sagacia, la sua agenda politica anche a colpi di tweet. In principio fu #enricostaisereno, mai gufata fu più clamorosa. Più di recente, è stato il momento di #lavoltabuona: e le riforme sono arrivate, anche se sui risultati ci sarebbe più di qualcosa da dire. Ora, con la legge di stabilità, ecco la nuova tendenza: #italiacolsegnopiù, che supera e sostituisce al volo il quasi desueto #italiariparte.
A questo giro, il premier decide di porre l’attenzione alla tanto attesa – e finalmente arrivata – uscita dalla recessione. Cresce l’occupazione, cresce il Pil: tutto grazie delle scelte del governo? Il dubbio è più che lecito, sia dal lato del lavoro che da quello degli effettivi meriti dell’esecutivo.
Crollano le esportazioni
Ma a rompere le uova nel paniere, appena un giorno dopo la presentazione della finanziaria, ci ha pensato l’Istat comunicando che, nel mese di agosto, le esportazioni hanno segnato – 3.6% su base mensile. Stagionalità? Neanche per idea, visto che si tratta – sottolineano dall’istituto di statistica – del terzo calo consecutivo.
“Il calo mensile delle esportazioni è imputabile alla marcata flessione delle vendite verso i mercati extra Ue (-8,2%) solo in parte contrastata dalla lieve crescita verso l’area Ue (+0,2%)”, si legge nel bollettino.
Calo delle esportazioni: un pessimo segnale
La scarsa dinamica (se non addirittura il passo del gambero) nelle esportazioni rappresenta un segnale molto preoccupante. In assenza di misure volte alla ripresa della domanda interna e in combinato disposto con la scelta di continuare – a parte qualche contentino europeo su cui Renzi ricama svolte epocali – sulla strada dell’austerità, segnalano la volontà di seguire l’autoimposto modello tedesco. Modello che fonda buona parte del suo successo proprio sulle esportazioni, sia all’interno che al di fuori dell’area euro. Una situazione peraltro non applicabile in tutti i contesti: non possiamo tutti essere esportatori, sarebbe come se tutti fossimo creditori senza alcun debitore. E’ chiaro che se le esportazioni calano e continuano a calare, viene meno l’unico pilastro su cui la (pessima) strategia si fonda. Nemmeno c’é premio di consolazione perché, se l’export cala, la domanda interna non aumenta.
Ci salva solo, in minima parte, il surplus commerciale a quota +1.9 miliardi. L’agguato è però dietro l’angolo: il prezzo del petrolio ai minimi da quasi 10 anni dà una mano non indifferente, per cui basta un minimo soffio di vento per far saltare anche qui il #segnopiù.
Filippo Burla