Cinquant’anni fa ci lasciava Adriano Romualdi. Riproponiamo ai lettori questo pezzo di Adriano Scianca pubblicato sul Primato Nazionale il 12 agosto 2016 [IPN]
Roma, 12 ago – Era un caldo, inutile, fine settimana di 43 anni fa quando, lungo la strada che collega Roma con gli scavi di Ostia Antica, veniva ritrovata un’auto uscita fuori strada durante la notte. Dentro l’abitacolo della vettura, un ragazzo appena 32enne ancora agonizzante. Sarebbe spirato alle 22 del 12 agosto 1973, all’ospedale San Camillo di Roma. Quel ragazzo era una delle menti più promettenti della destra radicale e, pur giovane, lasciava dietro di sé una mole di libri, articoli, conferenze, oltre che un’influenza sottile e disseminata che avrebbe alimentato ancora per decenni il mondo delle idee non conformi. Si trattava di Adriano Romualdi.
Nato nel 1940, a Forlì, era figlio di Pino, già vicesegretario del Partito fascista repubblicano e tra i fondatori dell’Msi. Laureatosi alla Sapienza con una tesi sulla rivoluzione conservatrice tedesca, discussa con il professor Renzo De Felice, Adriano era diventato assistente di Storia contemporanea all’Università di Palermo nella cattedra di Giuseppe Tricoli. Ma il rigore dello storico e dell’uomo di scienza non veniva sfruttato dal giovane per costruirsi una credibilità accademica, quanto piuttosto per fornire all’ambiente della destra politica solide fondamenta per una battaglia che sembrava – allora come oggi – condotta sempre più spesso in modo raffazzonato, approssimativo, senza una chiara strategia operativa e senza alcuna consapevolezza della posta in gioco politica, geopolitica, culturale e spirituale.
Con disciplina militante cristallina, con sforzo impersonale più unico che raro, Romualdi aveva cominciato a sfornare traduzioni, introduzioni, guide, saggi riepilogativi per indicare ai giovani il senso ultimo di una lotta che non poteva esaurirsi nelle diatribe elettorali o nelle risse da strada (anche se, raro esempio di intellettuale assai concreto, Adriano non disdegnava di impegnarsi sia nelle une che nelle altre, se occorreva). Questo senso era riposto nel fascismo, certamente, ma inteso in una dimensione europea e figlio delle grandi correnti intellettuali irrazionaliste, secondo un asse genealogico che da Nietzsche passava per la Rivoluzione Conservatrice per poi incarnarsi nelle strutture del Nuovo Ordine instauratosi in Europa negli anni ’30. Era un fascismo essenzialmente a trazione germanica: l’amore di Romualdi per il mondo tedesco era tale che in Germania aveva trovato anche moglie.
Ma il pensatore essenziale della visione del mondo filosofica e teorico-politica di Romualdi era pur sempre un italiano: quello Julius Evola a cui aveva dedicato una biografia intellettuale ancor oggi preziosa e apprezzata anche dal pensatore tradizionalista stesso. Questa temperie culturale trovava del resto un’origine/conclusione in quel mondo indoeuropeo di cui Romualdi, fra i primi, cominciò a parlare al mondo non conforme italiano. Di tutto questo il giovane intellettuale parlava e scriveva, in una lotta titanica per demolire l’egemonia culturale marxista, ma anche e soprattutto per bucare la coltre di pressapochismo, impreparazione, individualismo, elettoralismo che dominava a destra. Ne nasceva uno sforzo colossale rivolto innanzitutto verso e contro il proprio ambiente, di cui nelle lettere private Romualdi spesso si lamentava, senza che lo scoramento e la sensazione di lavorare essenzialmente per i posteri scalfissero mai la sua ferrea determinazione.
È davvero impressionante, oggi, valutare quanti sono i semi piantati da questo scrittore morto così giovane: quanti libri tradotti, quante antologie curate, quanti autori fatti conoscere, quante prefazioni illuminanti scritte, quanti libri sponsorizzati. Solo qua e là, in modo episodico, qualche cedimento “umano, troppo umano”, come qualche giudizio tagliente che a distanza di anni sembra ingeneroso e frettoloso: da quello su Jean Thiriart (“l’occhialaio di Bruxelles”) agli attacchi a Giano Accame. Allo stesso tempo, il suo anticomunismo viscerale può risultare vintage in un’epoca in cui gran parte dei maoisti degli anni ’70 hanno sposato la causa del liberalismo più retrivo, anche se la tenuta di certe idee andrebbe misurata nel loro contesto. Non si tratta, del resto, di accettare oggi e far propria tutta la lettera romualdiana, in cui peraltro il 90% è oro puro, ma di rinnovare lo spirito con cui questo grande patriota europeo ha operato affinché certi fuochi continuassero ad ardere, con luce più tersa e con calore più intenso. Anche nella notte più oscura. Soprattutto nella notte più oscura.
Adriano Scianca
3 comments
Il soldato politico per eccellenza! Ogni volta che mi reco a Predappio non manco mai di salutare il suo spirito che aleggia accanto a quello del più grande Uomo che l’Italia ha espresso dopo la caduta dei Cesari. Onore a te Adriano o Sieg Heil, come avresti preferito sentire da noi.
Ottimo articolo!!
Ho letto ultimamente “Lettere ad un amico”, curato da Del Ponte, che mi ha aperto uno spaccato sulle difficoltà della lotta politica quotidiana in quegli anni: illuminante.