Roma, 17 giu – Ieri per il contribuente italiano è stata una giornata campale. Secondo uno studio della Uil: “Venticinque milioni di proprietari di immobili hanno pagato tra Imu e Tasi circa 12 miliardi di euro. Il tutto è avvenuto nel giro di poche ore”.
Il giorno prima, però, il fisco aveva emesso una direttiva per rassicurare tutti. Secondo il dipartimento Finanze dell’omonimo ministero: “Gli aumenti automatici dell’ addizionale Irpef nelle Regioni in extradeficit sanitario si applicano a tutti gli scaglioni di reddito”. Lo scopo è semplice: tutelare la Sanità pubblica. A partire da oggi finalmente tutti capiranno il senso di quella strana voce nella sua busta paga. La notizia è stata riportata ieri da Il Sole 24 Ore nel suo inserto dedicato agli enti locali. Precisamente nell’articolo a firma di Gianni Trovati: Addizionali regionali, anche sui redditi più bassi gli aumenti automatici per il deficit sanitario.
Vediamo di spiegare meglio quanto detto. In pratica se la Regione ha una voragine nei conti pubblici, ne pagheranno le conseguenze anche coloro che hanno un reddito che va da zero a 15mila euro lordi l’anno. Forse i ceti meno abbienti moriranno di fame ma almeno avranno contribuito a sanare i conti in rosso della propria regione. Per questo estremo sacrificio si meriteranno una medaglia al valore. Sulle loro tombe ci sarà un eloquente epitaffio: “Qui giace l’onesto contribuente che non comprò il pane per tenere in piedi l’ospedale”.
Vista la serietà dell’argomento è bene ragionare in punta di diritto. Vediamo cosa dice nel dettaglio la direttiva ministeriale: “ Ogni discrezionalità della Regione (di limitare l’aumento dell’addizionale Irpef per coloro che non raggiungono i 15 mila euro lordi l’anno ndr) viene automaticamente meno nell’ipotesi in cui la stessa presenti dei disavanzi di gestione nel settore sanitario. Infatti, la finalità del D.Lgs. n. 68 del 2011, è quella di garantire che la copertura dei disavanzi di gestione nel settore sanitario avvenga anche attraverso l’applicazione automatica delle maggiorazioni sugli automatismi fiscali. Il perseguimento di tali superiori finalità sono volte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, non consente, quindi, alle Regioni di poter escludere dall’applicazione degli incrementi delle aliquote fiscali in questione i redditi fino a 15.000 euro”. In poche parole, oltre al danno, la beffa. Con tanto di riferimento alla Costituzione.
Trovati, come dicevamo, ha spiegato bene la genesi di questo obbrobrio burocratico: “Tutto nasce dal decreto sul federalismo regionale, che dopo aver fissato l’aliquota di base (0,9%, poi ritoccata a 1,23% dal «salva-Italia» del Governo Monti a fine 2011) prevede che le Regioni possano aumentare le richieste fino a quota 2,33%, ma non per il primo scaglione di reddito: per questi redditi, il tetto è fissato all’1,73 per cento”. Tutto salta però se però lo stato per ripianare i deficit della regione nel comparto sanitario impone un altro 0.5 per cento. In questo caso, infatti, l’aliquota per i ceti meno abbienti sale fino al 2,03%. Ma tornando a quello che dicevamo, prima perché il cittadino dovrebbe essere contento per una circolare del genere?
Semplice. Dopo aver scoperto che le tasse sono bellissime, oggi sappiamo anche che fanno bene alla salute. A breve uno studio di Veronesi ci dirà che sono un ottimo strumento per prevenire il cancro. E forse qualcuno dirà che le tasse non fanno invecchiare la pelle e aiutano l’equilibrio della flora intestinale.
Salvatore Recupero