Milano, 21 dic – Oggi ci ha mandato per l’ultima volta a quel paese, prima di andarci definitivamente lui, Andrea G. Pinketts, al secolo Andrea Giovanni-Genio Pinchetti, grandissimo bastardone -con tutto il rispetto per la signora mamma- meneghino, di quella Milano naviglia e calibro nove che non esiste più da mezzo secolo, corsara e beona, ma che in lui aveva un narratore di stile, di attitudine e di grande fegato, magari anche rovinato, ingrossato e inspessito, perché invadesse il torace a nasconderci meglio il cuore. Pinketts è stato un idolo ironico, capace di coraggi immensi, sin dagli esordi: romanzi raccontati con un gusto del fraseggio surreale, una lingua pirotecnica e allo stesso tempo leggera, umorismo sottile per trattare temi difficili, inchieste giornalistiche vissute sulla pelle, dalle vite degli emarginati in stazione ai bambini di Satana, inviato speciale millenni prima di altri.
Centinaia di premi che coronano successi letterari e giornalistici, che lasciano invariata la sua voglia di bersi la vita intera e scrivere, senza limite, come viveva. Irregolare in tutto, alcool, donne, sigari e scrittura, intellettuale per niente, come non era scontato il suo modo di fare e la sua incredibile disponibilità generosa, capace di angherie letterarie e di commozioni delicate, di pernacchie ai presunti grandi e attenzioni epistolari ai liceali confusi. Le testimonianze di questa sua incredibile umanità sono centinaia e ingorgano i social, dalla scrittosciacquetta milanesina alla giornalista cool romana, dal critico letterario kamikaze all’uomo qualunque che aveva cercato un contatto personale e aveva trovato un compagno di bevute, siamo stati tutti amici di AGP.
Da lettore gli perdonavi molto, perché il suo modo era comunque un seminare perle lessicali e calembour irresistibili, anche quando raccontava palesi puttanate ma era il suo scrivere à la Pinketts della G come Genio, e realizzava in ogni caso il fine ultimo e necessario della scrittura: divertire, fosse solo per stuzzicare, conquistare, intrattenere, irritare, ma sempre divertire. Storie surreali e nere, cotolettate alla milanese, fosse anche inquietanti ma sempre maternamente gigantesche e croccanti. Questa sua forza attraverso la gioia aveva attratto Fernanda Pivano, che l’aveva scoperto, ma gli alienava per forza e per sempre la simpatia degli Scrittori con la maiuscola, quelli impegnati e con il corpo rachitico e molle e la calvizie incipiente già a sedici anni, quelli dei testicoli che rotolano secchi dopo un paio di pagine, per intenderci. Pinketts poi seduceva senza per forza dover raccontare di essere scrittore e questo non glielo perdoneranno mai.
Il ricordo personale è quello di un Andrea G. Pinketts, come sempre elegantissimo anche se senza cravatta per il caldo, che ad Area19 era venuto a raccontare dell’ostracismo che aveva subito il suo primo libro, per anni tenuto nell’ombra perché raccontava, con la sua solita ironia ma senza remore, una storia triste di pedofilia e sofferenza. Lui, comunque fuori dal politicamente corretto, ma carognone gentiluomo, che da giovane, trovandosi costretto, aveva scelto la parte dove le donne si vestivano meglio e non l’aveva mai rinnegata, dopo un’iniziale timidezza, osservava con curiosità il mondo di questi matti tatuati e molto rokkenrrò. Dopo aver occupato il bancone bar con nonchalanche già dal primo pomeriggio, l’essersi trattenuto per buona parte della notte fra concerti, poghi e cocktail a decine, aveva sussurato all’orecchio di un giovane militante di CasaPound: «Siete dei bastardoni, ma siete bellissimi!», durante il concerto degli Zetazeroalfa.
Addio, Andrea G. Pinketts, conoscerti è stato scoprire che eri esattamente uguale ai bastardoni dal grande cuore che raccontavi.
Domenico Di Tullio