Roma, 28 feb – “Mi chiamo Aaron Bushnell, sono un aviere in servizio attivo dell’Aeronautica degli Stati Uniti e non sarò più complice di un genocidio. Sto per compiere un atto di protesta estremo ma, se paragonato a quello che la gente sta vivendo in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso che sia normale”. Queste le parole del giovane venticinquenne, mentre, filmandosi, si accinge a compiere il gesto estremo. Parole scandite con lucidità, mentre poi senza fretta, quasi a voler sottolineare le sue azioni, proprio come in un rito, si cosparge di benzina e prende l’accendino. Con calma, per un attimo sembra quasi non riuscire, ma è solo la stoica determinazione di un giovane che non sopporta più il silenzio, la noncuranza delle persone per bene.
Aaron Bushnell, il gesto che dice tutto
Quel resto del mondo che sta a guardare, anzi, nemmeno troppo: si volta dall’altra parte perché cosa ci può fare? Succede così lontano, e poi, si dice, quasi a scusarsi “quei terroristi di Hamas se la sono cercata!”. Il gesto di Aaron ci deve invece spingere ad una riflessione: da un lato, ci costringe ad aprire bene gli occhi, obbligandoci ad essere testimoni di una morte orribile, ma non meno di quelle migliaia di morti di piccoli innocenti palestinesi, le vere vittime sacrificali di questa aggressione; dall’altro, ci impone una presa di posizione: dopo che le fiamme lo hanno completamente avvolto, non possiamo procedere oltre, fischiettando, come se nulla fosse. Dopo che lo abbiamo sentito gridare, sbattendo i piedi a terra per non crollare “Palestina libera!”, abbiamo il dovere di essere testimoni attivi di un genocidio le cui conseguenze saranno atroci non solo laggiù, lontano, ma anche negli angoli della nostra Europa, dove sconteremo, a colpi di machete o di ordigni esplosivi, anche quelle colpe che non sono nostre.
L”esasperazione dei palestinesi coinvolge anche gli occidentali
Ma per capire davvero quello che sta succedendo oggi, bisogna tornare indietro in una storia mutilata (come tante altre) di un popolo che – dal giorno alla notte – si è visto invadere da un’occupante nemico che lo ha letteralmente cacciato di casa. Non abbiamo lo spazio sufficiente per coprire questo secolo di fatti e misfatti, ma il nostro compito è quello di riuscire, ognuno come meglio può, ad informare, a riparare, a correggere, ad attivare una solidarietà internazionale, a gridare “Palestina libera!”.
Chiara del Fiacco