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A processo il Kabobo altoatesino, nigeriano agli ordini di stregoni immaginari

by Andrea Bonazza
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Processo

Bolzano, 27 maggio – La cronaca italiana degli ultimi anni ci ha già abituato a violenti reati conclusi con imbarazzanti giustificazioni che in molti casi hanno portato ad incomprensibili assoluzioni. Nel caso che affrontiamo oggi, la vergognosa prassi della magistratura si ripete con l’emulatore “altoatesino” del più famoso Adam Kabobo. Vi ricorderete tutti de l’immigrato africano che a Milano scatenò il terrore a suon di picconate ai passanti…

Il processo

Correva l’anno 2013 quando, come in un film horror di bassa lega, un immigrato ghanese si aggirava nudo per le strade del quartiere meneghino Niguarda, armato di piccone e colpendo a caso i cittadini che incrociava lungo il cammino. In quella folle escalation di violenza, tre italiani persero la vita mentre altri due vennero feriti gravemente dall’arnese impugnato dall’africano. Adam Kabobo, questo il nome dell’assassino ghanese, dopo aver dichiarato di aver agito sotto comando di spiriti maligni, venne coccolato dall’entourage della sinistra radicale chic, con psichiatri pronti a giustificare le sue deprecabili azioni e, in ultimo, magistrati rivelatisi troppo clementi. Se inizialmente l’imputato affetto da schizzofrenia paranoide venne condannato a quarant’anni anni di reclusione, oggi, a distanza di 8 anni da quei tragici fatti, per Adam Kabobo sembra essere arrivata la condanna definitiva a 22 anni e 8 mesi, pena già in parte scontata per metà dalla detenzione accumulata. Ma se il caso Kabobo ancora fa rabbrividire la collettività e infuriare i parenti delle vittime, nell’isola felice altoatesina, a Laives, cittadina alle porte di Bolzano, un altro caso similare avvenuto lo scorso 25 giugno continua a scuotere l’opinione pubblica. Un anno fa, infatti, proprio mentre il governo riapriva la nazione dopo l’ennesimo lockdown, un nigeriano ventunenne ospitato dalle strutture gestite dalle cooperative e dalle Onlus locali, diede in escandescenza colpendo i passanti con un immotivato lancio di pietre. Anche in questo caso, la giustificazione iniziale dell’africano fu quella di aver obbedito agli ordini dello stregone del villaggio, che gli disse di colpire all’impazzata i cittadini con qualsiasi cosa si trovasse sottomano. Lo stesso improbabile amico invisibile gli avrebbe poi detto, in un secondo momento, di tacere davanti alle autorità giudiziarie per non svelare le motivazioni del folle gesto. Il giudice per le indagini preliminari, Andrea Pappalardo, aveva all’epoca commissionato una perizia psichiatrica al dottor Fabio Bonadiman per accertarsi delle condizioni mentali dell’imputato. Emerse ovviamente che il Kabobo altoatesino non era in grado di intendere e volere, sottolineandone però la pericolosità e spostando in tal modo le accuse sul fronte psichiatrico. In prossimità dell’udienza che si terrà nel mese di luglio, sembra scontato che l’imputabilità dell’immigrato caschi appunto nel vortice della giustificazione folle. Grazie anche all’avvocato Amanda Cheneri, è possibile che il giudice Federico Secchi accolga l’articolo 85 del codice penale, secondo il quale nessuna persona è imputabile se al momento del reato non era in grado di intendere e di volere.

Sciamani a spese nostre

Certo è da chiedersi quanti sciamani africani possano girare tra le deboli menti di questi immigrati sbarcati sulle nostre coste e ospitati a spese nostre, e quanti possano essere invece i suggeritori reali, tra associazioni e assistenti sociali facenti capo al mondo immigrazionista, che plagiano e difendono questi soggetti al fine di mantenere una struttura sociale che frutta milioni, se non miliardi, di euro ogni anno.

Andrea Bonazza

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