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9° Col Moschin: i paracadutisti a fumetti. Intervista a Favro

by admin
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Roma, 25 feb – “È stata un’esperienza bellissima. Mi ha permesso di incontrare uomini normali che fanno un mestiere speciale. Mi ha costretto ad immaginare un film mai girato, aggiustare e modificare la storia in base alle inquadrature. Mi ha avvicinato ad un genere che ho amato tantissimo come lettore e scoperto come autore. Adesso è tutto pronto per il lancio. Sarà un’altra avventura, in giro per l’Italia a raccontare la storia operativa del 9° Reggimento Paracadutisti Incursori Col Moschin dagli anni 80 a oggi“. È così che Gianluca Favro, esperto di contesti e attitudini militari, ha presentato la sua nuova avventura editoriale 9° Col Moschin. Gli Incursori Paracadutisti a fumetti. Un fumetto le cui tavole sono state realizzate da Stefano Mazzotti, già disegnatore sempre per Signs Publishing di 1919 e Les Affreux, e con la prefazione del Presidente dell’Associazione Nazionale Incursori dell’Esercito, Renato Daretti.

Il Moschin di Favro e i paracadutisti a fumetti

Gianluca, cosa l’ha spinta a realizzare una storia a fumetti sul 9° Reggimento Paracadutisti?

Va detto che questo è il primo volume di una collana dedicata ai corpi speciali leggendari italiani ed europei, che l’editore Signs mi ha proposto di inaugurare con il primo e più speciale dei corpi dell’Esercito Italiano. Scrivere del 9°, oggi che le guerre di campo sono tornate ad essere drammatiche protagoniste della nostra società, è innanzi tutto, un gesto di responsabilità nei confronti di uomini e di un reparto, che hanno costruito la propria professionalità intervenendo nei contesti più caldi degli ultimi 40 anni. Dal Libano all’Afghanistan, il 9° Reggimento ha rappresentato il meglio dell’impegno militare italiano, per preparazione, dotazione d’arma, equipaggiamento, tecnica e qualità umana. L’eredità degli Arditi non è andata perduta ed anzi si è consolidata e modernizzata, lasciandoci una grande lezione: la centralità del capitale umano, la sua primazia rispetto a qualunque tecnologia e sviluppo. Gli Incursori del 9° si sono guadagnati operazione dopo operazione l’apprezzamento dei migliori corpi speciali del mondo, grazie in particolare alla loro capacità tecnica, addestrata attraverso la severità della selezione, il rigore e il metodo della preparazione.

 Com’è strutturato il libro? Ma soprattutto qual è la sua peculiarità?

Il libro ha un taglio estremamente contemporaneo: inizia dall’intervento in Libano nel 1982, passa attraverso le operazioni in Somalia e nei Balcani, per approfondire in particolare la presenza negli scenari dell’Iraq e dell’Afghanistan, dove il Reggimento ha raggiunto il massimo degli standard operativi internazionali. La particolarità storica sta proprio in queste ultime due missioni, riguardo alle quali era stato scritto poco fino ad ora e scarse informazioni pubbliche erano state rese disponibili sull’impiego del reparto. La particolarità narrativa sta in due aspetti: il racconto a fumetti, che permette una fruizione semplice, immediata e capace di coinvolgere diverse tipologie di appassionati lettori e il fatto che quanto viene illustrato e narrato sia frutto di lunghi incontri con operatori oggi in pensione e altri ancora in servizio, che mi hanno raccontato la loro esperienza sul campo. Anfibi nella terra, occhi testimoni diretti di fasi epocali della nostra storia contemporanea, che nessun libro potrà mai rendere come le parole, le espressioni, i ricordi, le riflessioni di chi era sul campo.

Qual è stata la parte più difficile, quella invece più toccante e quella che avrebbe voluto affrontare ma poi ha lasciato nel cassetto?

 La parte più complessa è stata quella logistica, che si è potuta risolvere solo grazie all’impegno di ANIE, che ha creato i presupposti degli incontri vis a vis con gli operatori. Poi il racconto per immagini del fumetto ha dovuto fare i conti con alcune necessità “politiche” che fin qui erano state preminenti. Le ragioni dell’impegno italiano in scenario e le regole d’ingaggio votate dal Parlamento sono sempre state il perimetro in cui il Reggimento ha operato. Ma il volume rende evidente che gli imprevisti sul campo hanno richiesto una prontezza e delle capacità ben superiori rispetto alle note diplomatiche, così come la collaborazione all’interno di task force internazionali ha creato esperienze uniche per il comparto italiano. Gli operatori che hanno lasciato la loro vita sul campo sono un ricordo indelebile nella memoria di ogni Incursore e la testimonianza che me ne hanno reso è davvero da brividi, per l’umanità, il dolore bruciante, la capacità di reazione individuale e di reparto dimostrate. Questi sono di certo i passaggi più toccanti che ho raccolto e che ho voluto raccontare con rispetto e senza eccessiva enfasi retorica, per essere congruo con lo stato d’animo dei militari che me ne hanno parlato. Nel cassetto è rimasto poco o nulla: il libro riporta con fedeltà il diario di viaggio che il 9° Reggimento Paracadutisti Incursori hanno compiuto e che ha voluto condividere con tutti noi. Se proprio devo dire…mi piacerebbe un giorno scrivere un romanzo con protagonista il combat medic, una figura di soldato unica e che al 9° rappresenta un’eccellenza mondiale.

Visto il notevole incremento delle baby gang ma, nello stesso tempo, di giovani fragili e depressi al punto che si contano 46mila suicidi l’anno nel mondo.

In Italia, ad esempio, si è parlato di un aumento del 75% di ricoveri tra i giovani per tentato suicidio.

Sulla base di questi dati, qual è la sua posizione sul ripristino della leva obbligatoria in Italia? Può essere cioè una soluzione a questa piaga o occorre ben altro?

Non ho titoli per dare una risposta che risulti argomentata. Solo alcune opinioni e certezze personali. Questa nostra società ha perso un fattore che invece al 9° è centrale. Il ruolo dell’individuo come soggetto centrale e responsabile di scelte e azioni, che impattano sulla vita comune e la definiscono come condivisione di valori. Non credo che la società italiana e internazionale debba addossare all’organizzazione militare, al servizio di leva, una funzione correttiva di questa stortura.  Anzi dovrebbe – o avrebbe dovuto – crescere donne e uomini pronti mentalmente, fisicamente e valorialmente per accedere all’elite militare, composta di persone normali capaci di azioni, gesti e volontà speciali.

Secondo lei la figura dei paracadutisti è valorizzata o rischia di essere sempre più messa nel dimenticatoio?

La figura del paracadutista è demonizzata dalla cultura, impregnata di antimilitarismo di facciata, di buonismo sulla pelle degli altri. Accade in maniera diffusa per tutto l’ambiente militare, che in Italia risente di uno strisciante odio sinistro, quasi che ad essere militari fossero dei feroci guerrafondai, amanti delle atroci sofferenze che la guerra infligge. Nessuno detesta la guerra più di chi la combatte. Gli Incursori del 9° e i militari schierati in contesti ostili sono i testimoni e i conoscitori della miseria umana, si espongono alla sua furia, la fronteggiano. Non c’è retorica pelosa, non c’è alcun rigurgito imperialista o nazionalista in chi va sul campo, in armi. C’è l’assoluta consapevolezza che le guerre sono da millenni il metodo con cui gli stati cercano il dialogo, dopo aver combattuto per valori,interessi e pretese geopolitiche. Sta qui l’assurdità delle guerre attualmente in corso: rendere la sensazione che si stia combattendo per il gusto di farlo, senza la ricerca fin dalle prime settimane di una via di dialogo, magari sotterranea, ma fermamente perseguita.  I Paracadutisti Incursori del 9° Reggimento Col Moschin, protagonisti di questo libro, hanno combattuto con la coscienza di essere di supporto alle popolazioni e di contrasto totale a chi le obbligava a sofferenze indicibili.  Hanno espresso la loro professionalità e si sono conquistati il rispetto internazionale per la serietà, la capacità el’umanità dimostrata. Dovrebbero essere accolti tra gli applausi, come accadde al ritorno dalla missione in Libano nel 1982, quando allo sbarco a Livorno trovarono ad attenderli una popolazione festante e grata. Non per la guerra che avevano aiutato a contenere, ma per il lascito d’italianità che avevano depositato dall’altra parte del Mediterraneo.

A proposito di giovani, come vede il loro l’approccio a questa figura? Di conseguenza cosa pensa dell’ondata di indignazione sugli zainetti dell’esercito, perché visti come una “militarizzazione delle scuole”, al punto da portare la Giochi Preziosi a fare un passo indietro ritirandoli dal commercio?

Sono distratti. Ma la colpa è solo parzialmente loro. Nessuno in famiglia, a scuola, sui media e sui social racconto loro in Italia che c’è un esercito, che rappresenta un’opportunità lavorativa e formativa unica, che i corpi speciali danno loro una via diconfronto con sé stessi, difficilmente paragonabile a qualunque altra challenge.Qui da noi, l’Esercito è un male al più necessario, non un corpo dello Stato di cui andare fieri ed orgogliosi, da conoscere, studiare, visitare, far avvicinare. Spero che questo fumetto contribuisca a rompere lo steccato. Anche per questa ragione può essere uno strumento potente. Se riusciamo a conquistare l’attenzione dei giovani, a raccontare loro con uno stile che è loro vicino una storia vera ed appassionante, forse possiamo anchepermettere loro di immaginare un futuro meno vuoto, meno nichilista.  Chi teme di militarizzare la scuola con uno zainetto con il logo dell’Esercito, è chi andava per strada a scrivere sui muri nel 2012 “10, 100, 1000 Nassirya”. Una vergogna per la nostra società, una di quelle ferite che mai si cicatrizzeranno e che anzi continueranno a far sanguinare il nostro Paese, ancora diviso tra una destra sempre meno sociale e una sinistra sempre troppo poco nazionale. Non c’è politica, non c’è colore, non c’è divisione davanti agli uomini in divisa:  ci rappresentano e devono essere la nostra parte migliore. Gli Incursori del 9° sono più speciali per questo, che per le loro capacità, dotazioni e tecniche.

Nemes Sicari

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