Roma, 18 mar – Come abbiamo ripetuto più volte, su Vladimir Putin (come su Viktor Orban) vige una sorta di ossessione occidentale alla “dittatorologia”. Nel caso di Budapest, parliamo in tutto e per tutto di un regime fotocopia di quelli liberal occidentali, come presunta “democrazia”. Nel secondo caso, di un sistema ibrido, o che per lo meno a lungo è stato ritenuto tale nelle aule universitarie, in cui però sulle certezze che si voti, che ci siano più partiti e che concorrano tutti per il governo della Russia c’è ben poco da discutere, a meno di non essere completamente ottusi. Ma il medio giornalista occidentale non ne vuole granché sapere di queste distinzioni o di questi ragionamenti. Fa fatica a chiamare dittatura l’Ungheria, vero, in compenso non si allontana molto dal definirla un autoritarismo (l’Unione Europea è riuscita a sostenerlo, un anno e mezzo fa). Non si fa scrupoli a definire Mosca come una sorta di totalitarismo in cui il sedicente “principale oppositore” parlava tranquillamente in video e li diffondeva in mezzo mondo. In entrambi i casi, l’unica realtà abbastanza palese, viste anche le ultime elezioni russe è piuttosto semplice: tanto Orban quanto Putin godono di un consenso semplicemente elevatissimo nei loro Paesi. Sconosciuto a qualsiasi leader occidentale degli ultimi trent’anni, esclusa forse Angela Merkel.
Elezioni in Russia, Putin al massimo storico
C’è stato ben poco da contare. I sondaggi parlavano già di una probabile affermazione elevata (si stimavano consensi per circa l’82%), ma l’esito del voto ha generato numeri perfino superiori: alle elezioni presidenziali appena concluse, Putin si è avvicinato al 90% delle preferenze. Per essere più precisi, il leader del Cremlino (a scrutini quasi completati), oscilla tra l’87% e l’89% dei voti. In seconda posizione il comunista Nikolai Kharitonov è fermo 4,7%, mentre Vladislav Davankov di Gente Nuova al 3,6%. Infine Leonid Slutsky del Partito liberaldemocraticoal al 2,5%. Anche l’affluenza è stata molto elevata, circa il 73% dei cittadini, rispetto al 67,5% del 2018.
La guerra ha compattato di più la Russia
Tra le cause della crescita di consensi – già elevata, ma ora vicina all’unanimità – c’è stata la guerra. Il che rende ancora più difficile comprendere come la Russia, sebbene non certamente una democrazia liberale nel senso occidentale del termine, non sia affatto la “dittatura” favoleggiata dai media occidentali, come si diceva anche in fase introduttiva. Di simile all’Occidente – se non apertamente identico – in Russia sussiste solo un sistema socioeconomico il quale, a conti fatti, non rappresenta un vero modello alternativo. Quel che è certo, in ogni caso, è che lo scoppio del conflitto, ben lungi dall’indebolire la posizione del presidente, l’abbia enormemente rafforzata. Ciò nonostante vi siano state turbolenze evidenti e anche il tentativo di scalzarlo di Yevgeny Prigozhin. L’incapacità delle analisi occidentali di comprendere tutto ciò rende ovviamente impossibile avviare un approccio serio alla questione. Eppure sarebbe il caso di sviluppare un minimo di osservazione, perché affrontare le sfide di politica estera in questo modo, ovviamente, non aiuta.
Alberto Celletti