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Governo Renzi: sei mesi di nulla

by Giuseppe Maneggio
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La rottamazione è una fiaba, mentre la realtà racconta una farsa gattopardesca.

Roma, 17 set – Il 22 febbraio di quest’anno Matteo Renzi prestava giuramento davanti al Presidente Napolitano, sancendo di fatto la nascita del sessantatreesimo governo della Repubblica Italiana. Arrivati alla soglia dei sei mesi di incarico proviamo a fare un bilancio dell’operato di questo esecutivo. Molti gli annunci ma pochi i provvedimenti presi. Vediamoli.

TASSE
Il bonus di 80 euro si è rivelato, ad oggi, inefficace nel far ripartire i consumi, che era l’aspettativa primaria rivolta dal governo. Oltretutto non ci sono le coperture strutturali per proseguire con il bonus e questo ne compromette ulteriormente l’efficacia. Rimangono fuori coloro che hanno redditi troppo bassi per pagare le tasse, i cosiddetti incapienti, oltre che i disoccupati, tra cui si annida la povertà.

LAVORO
Solo promesse per le garanzie da dare ai giovani. Forse troppe. Il Jobs Act doveva essere la prima riforma dell’esecutivo Renzi, ma è stato varato un solo decreto sui contratti a tempo determinato che, con la nuova prova triennale, rende del tutto improponibile un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Aumenta così il dualismo nel mercato del lavoro (ma il lavoro non dovrebbe essere una merce nda) e innalza le barriere che separano i contratti temporanei da quelli a tempo indeterminato.

SCUOLA E UNIVERSITA’
Anche in questo caso sono stati svariati gli annunci. Il ministro Stefania Giannini ha proposto l’abolizione del test di ammissione a medicina, l’abolizione delle graduatorie dei precari, l’aumento della quota premiale del Ffo e l’accorciamento della durata della scuola secondaria. Ma ad oggi non sono stati presentati disegni di legge o provvedimenti ministeriali.
Resta nell’agenda di governo l’attivazione dei fondi per l’edilizia scolastica. Si attendono ora, decreti e criteri di assegnazione.
Nell’ultimo documento “La buona scuola”, si esprime un sostegno all’idea dell’organico funzionale, che introduce flessibilità nella gestione del personale scolastico fornendo maggior autonomia gestionale alle scuole. Questo va nella direzione avviata anche dagli ultimi governi che vede ogni istituto scolastico come un’azienda a sè stante.

POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Dal punto di vista delle politiche per le famiglie o per i bambini, il governo Renzi sinora non ha fatto nulla se non annunci.

POLITICA INDUSTRIALE
Non si ricordano interventi significativi, a parte l’appello del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, a non licenziare. Resta il fatto che la crisi morde soprattutto le Pmi, colonna portante della nostra economia. E se i dati statistici mostrano segnali allarmanti, nulla è stato fatto per arrestare la deindustrializzazione del paese.

GRANDI OPERE
Le intenzioni del governo sono di sbloccare l’Italia partendo proprio dall’accelerazione che dovrebbero subire molte opere minori cantierabili unite all’avvio di alcune grandi opere. I tempi ovviamente sono molto lunghi. Per fare un esempio, la realizzazione dell’alta velocità ferroviaria Napoli-Bari ha dei tempi di previsti in dieci anni. Rischiano così di essere poco fruttiferi in termini di rilancio dell’economia: 1 miliardo speso nelle grandi opere genera meno posti di lavoro e meno domanda indotta rispetto a 1 miliardo speso, per esempio, nell’edilizia scolastica o ospedaliera. Questo perchè hanno minori effetti di offerta – cioè contribuiscono meno all’aumento di produttività – rispetto agli investimenti in ricerca e sviluppo.

IL NUOVO SENATO
Il nuovo Senato sarà composto da 100 membri, di cui 95 scelti dai consigli regionali fra i propri componenti e 5 nominati dal Presidente della Repubblica. Il Senato non avrà più alcuna funzione legislativa, salvo su alcune materie. La riforma ha superato lo scoglio del Senato ma resta da approvare alla Camera anche se in questo caso non dovrebbero esserci sorprese avendo il Pd una maggioranza più cospicua. Tuttavia trattandosi di una riforma costituzionale, il testo, una volta approvato, dovrà tornare allo stesso Senato per una seconda votazione (non prima di tre mesi dall’approvazione della Camera). Sarà dunque quello il vero passaggio cruciale che determinerà il successo o meno della riforma e probabilmente dell’intera legislatura, vista anche l’enfasi e l’importanza che lo stesso Matteo Renzi gli ha attribuito.

LEGGE ELETTORALE
I cittadini, se la riforma del Senato verrà approvata, eleggeranno di fatto solo i rappresentanti della Camera. Verrebbe ulteriormente ridotta la partecipazione democratica degli italiani in una sorta di secondo ramo del parlamento che assumerebbe i contorni raccapriccianti di ciò che avviene all’interno del mondo tecnocratico europeo.
L’accordo sull’Italicum è vincolato ai rapporti che Matteo Renzi intrattiene con Silvio Berlusconi nel cosiddetto “accordo del Nazareno”. Appare del tutto aleatoria una sua approvazione in tempi brevi e non sarebbe nemmeno da escludere che si possa tornare al voto con l’attuale sistema elettorale.

LE PROVINCIE
Restano ancora in piedi fino a presunta approvazione definitiva della riforma costituzionale.

RIMBORSI ELETTORALI
Resteranno in vita fino al 2017.

A questo punto è lecito chiedersi cosa ci sia di diverso rispetto al pre-Renzi? La rottamazione è una fiaba, mentre la realtà racconta l’esatto opposto.

Tutto viene digerito, persino l’ingresso – la prima volta nella storia della Repubblica – di un membro del governo (il sottosegretario Legnini) alla guida del Csm, aspirante vicepresidente. Passa come acqua fresca che un altro sottosegretario (Ferri) mandi Sms ai magistrati e indichi quali candidati votare per l’elezione dei membri togati. Passa che un governatore (Errani) si dimetta dopo condanna in Appello e il premier lo difenda pubblicamente, come chiunque nel suo governo, nella sua segreteria o tra i manager nominati sia indagato o imputato, spacciando il tutto per garantismo.

Ciò che tante lingue d’amianto contestavano veementemente a Berlusconi viene oggi perdonato a Matteo Renzi. Eppure quello di oggi è lo stesso Renzi che prima di Palazzo Chigi voleva le preferenze, eliminare l’immunità, parlava come un “giustizialista” chiedendo la testa della Cancellieri (caso Ligresti) e Alfano (caso Shalabayeva) per “opportunità politica”, dichiarava fuori dai giochi Berlusconi, difendeva questa Costituzione, giurava mai più larghe intese, attaccava l’immobilismo di Letta su lavoro ed economia, voleva tagliare le grandi opere, prometteva fuoco e fiamme sulle regole e i parametri europei.

Restiamo sempre più convinti che colui che doveva rappresentare la rottamazione del vecchio per il nuovo altro non sia che l’ennesima rappresentazione del Gattopardo. “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; chi ci sostituirà saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra“.

Giuseppe Maneggio

 

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