Roma, 29 nov – Poggiante sulla mistica liberista dell’intervento taumaturgico dei mercati autoregolatori, la deregolamentazione liberista corrisponde alla spoliticizzazione dell’economia sottratta alla possibile gestione democratica da parte del popolo sovrano. Ciò, come si è adombrato, segna l’apice della deeticizzazione, nella misura in cui, sulle orme di Hegel, lo Stato si pone come idea vivente della realtà etica e, più in generale, come garante delle “radici etiche” permeanti il mondo della vita e i nessi comunitari intersoggettivi. Il sogno neoliberista non può dirsi realizzato fintantoché a ostacolare l’avvento del laissez-faire planetario e dell’anarchia commerciale sopravvivono i “lacci e lacciuoli” dello Stato come ultimo baluardo del primato del politico sull’economico, della scelta democratica sulla volontà oligarchica incontrollata, della communitas sull’élite neofeudale e plutocratica.
Con le grammatiche di Carl Schmitt, la nostra è l’epoca in cui giungono a compimento i processi convergenti della “spoliticizzazione” (Entpolitisierung) e della “neutralizzazione” (Neutralisierung). Si neutralizza ogni “centro di riferimento” simbolico che non sia quello dell’economia innalzata a sola sorgente di senso: e, per questa via, si procede in vista dell’integrale spoliticizzazione. Si disarticola la residua capacità della forza politica di contenere e governare l’economico sempre più svincolato. La spoliticizzazione dell’economia si determina mediante la desovranizzazione, ossia mediante l’annientamento dello spazio reale d’azione della politica degli Stati sovrani nazionali come istanze eticizzanti in grado di contenere e orientare l’economia in vista dell’interesse della comunità.
In tal guisa, appare evidente la “tendenza a separare il potere dalla politica” come raison d’être del nuovo sistema del mercato assoluto. Ciò, peraltro, confuta la nota tesi del Ferguson dell’Essay on the History of Civil Society (1767), secondo cui “le arti del commercio e della politica hanno progredito insieme, di conserva”: ammettendo, con Ferguson, che in passato vi sia stata tale intreccio progressivo, oggi esso appare evidentemente dissolto; con la conseguenza per cui le nuove arti del commercio digitale e dell’economia senza frontiere progrediscono annichilendo gli spazi del politico. Mediante la spoliticizzazione dell’economia e l’annichilimento dello Stato sovrano democratico, si instaurano, con le parole di Lukács, “il dominio dell’economia sulla società” e la sovranità assoluta del capitale finanziario. Quest’ultimo abbatte le legislazioni giuslavoristiche, i contratti nazionali, il diritto costituzionale, le acquisizioni sociali a difesa dei subalterni.
I processi reciprocamente innervati della Neutralisierung e della Entpolitisierung si proiettano nitidamente in un fatto inedito, che segna anch’esso una cesura rispetto al “secolo breve”: per la prima volta, la società complessivamente intesa non rappresenta più a sé la propria complessiva dinamica attraverso la politica, né si pensa oggetto di una possibile trasformazione a partire da progetti politici miranti a rimodellare l’esistente. Nel trionfo del postpolitico, la precedente dimensione della politica e delle sue passioni forti è sostituita dal prosperare di formazioni ideologiche micro settoriali e a bassa, quando non nulla, intensità politica. Tali sono, inter alia, il femminismo e l’ecologismo, il fondamentalismo religioso e il nazionalismo tribale.
Tali formazioni ideologiche frammentano prismaticamente l’intero sociale nelle dicotomie delle parzialità su cui esse stesse si reggono. Sicché si rivelano intrinsecamente inadeguate per ogni progetto politico teso a ricostituire su nuovi fondamenti la società alienata. Ed è anche in forza di ciò che le summenzionate ideologie post-politiche si lasciano in ultimo fortemente condizionare e limitare, nelle loro applicazioni pratiche, dall’onniavvolgente ideologia del mercato, che fa loro da costante sfondo ideologico, spesso inconscio. Il politico, per parte sua, è connesso con la dimensione della scelta e della decisione, in uno spazio entro cui si confrontano dialogicamente idee diverse sulla direzione generale e totale della vita associata e dell’organizzazione collettiva delle esistenze: ora, tale spazio, abbandonato dalla politica, è stato consegnato al mercato stesso e, dunque, riassorbito dall’economia.
Diego Fusaro
La politica ha perso. Così il mercato ha ucciso le ideologie
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