Roma, 20 ago – Hanno ucciso l’Uomo ragno. E anche Thor, Capitan America, Superman e tutti gli altri. Dove non hanno potuto “quelli della mala” o “la pubblicità”, come paventava il ritornello degli 883, è invece riuscito il politicamente corretto. L’ansia di normalizzare i superuomini di Marvel e Dc Comics integrandoli in un quadro di quote etniche e rappresentanza delle minoranze sta ultimamente giocando brutti scherzi.
Se il docente di teologia Craig Detweiller ha scritto un saggio dall’imbarazzante titolo di “Jesus-The Original Superhero”, collegando Superman alla figura di Cristo, Rich Goldstein, un paio di giorni fa, è intervenuto sul Daily Beast corregendo il tiro: macché cristiano, l’uomo di Krypton era ebreo. Non solo Jerry Siegel e Joe Shuster, i creatori di Superman, erano entrambi ebrei; non solo il nome kryptoniano dell’eroe è Kal-El, che in lingua ebraica significa Voce o vascello di Dio; Goldstein spiega anche che “l’identità di Superman è quella di un immigrato parzialmente assimilato” mentre la sua nemesi non è un altro supereroe, bensì “il miliardario xenofobo e megalomane Lex Luthor”, i cui ideali sembrano all’autore dell’articolo richiamare chiaramente il nazionalsocialismo.
E allora come la mettiamo con Thor, il supereroe uscito pari pari dalle saghe della mitologia nordica? Laddove la filologia fumettistica creativa nulla può, si stravolge semplicemente la storia. Ecco allora che la Marvel decide di trasformare lo statuario vichingo in un’eroina donna. Proprio così, Thor cambia sesso. Il nuovo personaggio dovrebbe debuttare in ottobre, illustrato da Russell Dauterman. Jason Aaron, autore della nuova serie, ha precisato che non si tratta di una “Lady-Thor” (poi si porrebbe il problema della divisione dei ruoli: a lui i criminali uomini e a lei le donne? Uno sconfigge i cattivi e l’altra cucina?) né una “Thorita” (le desinenze sono sempre un problema, coi nomi nordici poi non ne parliamo) ma semplicemente “Thor”. Una precisazione che sembra uscita dalla presidenza della Camera dei deputati, in verità.
Eppure non finisce qui, perché sempre di qualche settimana fa è la notizia che nella prossima serie a fumetti Capitan America sarà di colore. Il cambio sul grande schermo avverrà invece probabilmente nel 2016, con Chris Evans che passerà lo scudo all’attore afro-americano Anthony Mackie.
Da qui a vedere in scena un supereroe gay il passo è breve. Ma qualcuno lo ha già compiuto tempo fa. Risalgono al 2012, infatti, le nozze omosessuali di Northstar, il primo supereroe apertamente gay dell’universo Marvel. Il mutante canadese ha convolato a giuste nozze con il suo fidanzato storico Kyle Jinadu nel giugno di due anni fa.
Insomma, uno non può più godersi in santa pace neanche un film o un fumetto a base di superpoteri, supercattivi, superpupe pazze dell’eroe di turno senza sorbirsi pistolotti contro le possibili implicazioni machiste, razziste, sessiste, xenofobe, omofobe e chi più ne ha più ne metta. Magari tra un po’ vedremo Silver Surfer dare una mano nell’operazione Mare Nostrum, Giudice Dredd spiegarci che la separazione delle carriere è un male, Flash in prima fila nelle manifestazioni contro l’alta velocità.
Qualcuno, in verità, si era già portato avanti col lavoro. Per esempio gli X-Men, creati nel 1963 da Lee e Kirby già con presupposti “ideologici” di fondo piuttosto politicamente corretti: importanza della diversità, civile convivenza e bla bla bla. Ma alla fine l’immaginario senza complessi e senza moralismi aveva sempre la meglio, posto che ciò che aveva garantito il successo del fumetto era stato la tematizzazione della diversità post-umana in chiave prometeica fatta propria dal “cattivo” Magneto, non certo il buonismo istituzionale del Dottor Xavier. È la mistica dell’homo superior che cattura il lettore, non la conformistica “normalizzazione” invocata più volte, senza troppa convinzione, dai “buoni” della saga. Wolverine che si mette a fare il postino e attraversa sulle strisce non interessa più a nessuno.
Se così dev’essere, tanto vale sopprimerli, questi supereroi, come chiedevano le inchieste perbeniste degli anni ’50. Proprio il maccartismo progressista che faceva imbestialire Frank Miller, che nell’introduzione al suo The dark knight returns sbraitava contro “le insulse ruffiane teste parlanti”, chiedendosi infine con malcelato disprezzo: “Cosa farebbero questo omuncoli se i giganti vivessero sulla terra? Come considererebbero un potente, volenteroso e ostinato eroe?”.
Adriano Scianca
(Quest’articolo è stato pubblicato su Libero del 19 agosto 2014)