Il 3 settembre 1943, il giorno stesso in cui a Cassibile veniva firmata la resa (presentata pudicamente come armistizio) italiana, l’8a Armata britannica eseguì uno sbarco diversivo in Calabria[1]. Kesselring, in accordo con il piano di emergenza per un’invasione alleata, iniziò a ritirare le sue formazioni più a nord. Si aspettava gli sbarchi completamente da un’altra parte e non desiderava che le sue unità venissero isolate troppo a sud. Ma il principale sbarco alleato arrivò a Salerno l’8 settembre. Contemporaneamente all’invasione, Eisenhower annunciò la capitolazione italiana, tre giorni prima rispetto alla data del 12 chiesta da Badoglio per dare la notizia della resa.
Radio New York trasmise alle 16.30 la notizia della firma dell’armistizio tra l’Italia e le forze potenze alleate; molti in Italia non vi credettero, finché non venne trasmesso un messaggio del generale Eisenhower da radio Algeri:
Qui è il generale D. D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo.
Il governo italiano ha firmato la resa incondizionata delle sue forze. Come comandante in capo ho concesso l’armistizio, i cui termini sono stati approvati dal Regno Unito, dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Ho perciò operato nell’interesse delle nazioni alleate. Il governo italiano si è impegnato a rispettare questi termini senza riserve. L’armistizio è stato firmato da miei rappresentanti e da rappresentanti del maresciallo Badoglio; esso diviene operante in questo istante. L’ostilità tra le forze armate delle nazioni alleate e quelle dell’Italia terminano all’istante. Tutti gli italiani che forniranno aiuto per scacciare l’aggressore tedesco dal suolo italiano avranno a loro volta aiuto e appoggio dalle nazioni alleate.
Il generale Maitland Wilson emise il seguente proclama, che dimostrava come la resa fosse, al contempo, un vero e proprio tradimento dell’alleato, ordinando (!) agli italiani di attaccare e disarmare i germanici:
Il vostro governo ha firmato un armistizio; la guerra tra l’Italia e le nazioni alleate è terminata. In conformità alle condizioni d’armistizio impartisco i seguenti ordini, che devono essere immediatamente eseguiti da tutti i componenti le forze armate italiane dislocate nei Balcani e nell’Egeo:
- Ogni atto ostile nei confronti delle popolazioni delle regioni che voi presidiate deve cessare immediatamente.
- Ogni unità deve rispettare la più stretta disciplina e conservare l’attuale formazione.
- Ogni tentativo da parte tedesca o dei paesi suoi satelliti di disarmare o di sbandare le truppe italiane, per impossessarsi delle loro armi, di magazzini, di depositi di carburanti e di serbatoi d’acqua, o di posizioni da loro presidiate, deve essere contrastato con le armi. Tutti gli ordini dei Tedeschi devono essere ignorati.
- Le truppe italiane devono impossessarsi con la forza di tutte le posizioni occupate dai Tedeschi nel Dodecaneso.
- Tutte le unità della marina mercantile e di quella da guerra devono attenersi a quanto segue: le navi mercantili che si trovino a oriente del meridiano corrispondente al 17° grado di longitudine devono fare rotta diretta su Alessandria; ad esse è concesso di attraccare in un porto delle Nazioni alleate per rifornirsi.
- Tutti gli aerei italiani devono far rotta su Nicosia, Derna, Tobruch e El-Adem. La mancata osservanza di questo ordine, o di qualsiasi ordine che potrò dare in futuro, sarà considerato atto che viola i termini dell’armistizio accettato dal comandante supremo italiano e pregiudicherà il vostro futuro trattamento .
Alle 19,45 venne trasmesso dall’EIAR il comunicato registrato da Badoglio:
Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.
In concomitanza con l’armistizio e lo sbarco a Salerno gli alleati effettuarono il massiccio bombardamento di Frascati, effettuato con l’intenzione di assassinare il Feldmaresciallo Kesselring, che risiedeva a Villa Mondragone e decapitare le Forze Armate tedesche in Italia.
Nella cittadina laziale erano presenti circa 3.000 militari e ausiliari tedeschi. Pur costituendo un obiettivo sensibile Frascati era dotata di una difesa contraerea piuttosto inefficace, soprattutto contro bombardamenti massicci.
L’otto settembre 1943 a Frascati si celebrò la festa della Natività della Madre di Dio. L’icona della Madonna Refugium Peccatorum, conservata nella Chiesa del Gesù, era stata trasferita dal primo settembre alla vicina Cattedrale di San Pietro per chiedere la fine della guerra attraverso un settenario di preghiere di intercessione. Già nel 1918 l’icona della Salus Infirmorum, custodita nella chiesetta della Sciadonna limitrofa al cimitero, era stata esposta nella Cattedrale per due mesi, al termine dei quali cessò un’epidemia di spagnola ed ebbe termine la Grande Guerra. Questa volta, scaduti i sette giorni, l’immagine venne distrutta dalle bombe dei liberatori che colpirono la cattedrale sulla navata sinistra poco dopo il mezzogiorno, proprio mentre numerose persone erano raccolte nell’area[2].
Le bombe, scendendo dalla Villa Aldobrandini verso il centro urbano e quindi verso la via Tuscolana, distrussero nella zona numerosi palazzi civili, il santuario delle Scuole Pie, l’intera Cattedrale di San Pietro ad eccezione della facciata aprendo anche una voragine nella piazza, e l’adiacente Seminario Tuscolano, risparmiando la fontana sulla piazza, e in quella adiacente la Chiesa del Gesù.
I 12.000 volumi della Biblioteca Eboracense istituita dal cardinale Edoardo Stuart, duca di York, si salvarono perché, come per la Biblioteca dell’Abbazia di Montecassino, vennero trasferiti al Vaticano dalle camionette dei soldati tedeschi, aiutati dai frati cappuccini, per ordine di Kesselring.
La popolazione, da mesi segnata dalle restrizioni economiche e alimentari e sovrappopolata per l’afflusso di cittadini romani, ora sconvolta dai bombardamenti improvvisi, venne soccorsa in un primo tempo proprio dai soldati tedeschi, che in quell’esatto momento erano in gran numero seduti alla Cantina Antico Sempione, destinata anch’essa alla distruzione come i tre quarti della città[3].
Si contarono circa 6.000 vittime su una popolazione di 11.763 abitanti, oltre a circa 700 soldati tedeschi. Villa Mondragone non venne colpita.
A causa del bombardamento e dei cadaveri rimasti tra le macerie, Frascati rischiò di scomparire dalla faccia della terra, poiché i tedeschi, per paura di epidemie e dopo averla dichiarata “zona infetta” avevano intenzione di “bonificarla” con i lanciafiamme. Gli abitanti guidati da monsignor Budellacci, lavorarono incessantemente per estrarre i corpi delle vittime dalle macerie e dare loro degna sepoltura.
Il tessuto urbano della città fu danneggiato per circa il 90%. Gli sfollati furono circa 7.000, molti rifugiano nel reticolo di grotte che caratterizza il sottosuolo della città, alcuni ripararono presso le rovine del Tuscolo. Tutto ciò per uccidere un solo uomo, lo ripetiamo, e probabilmente con la complicità del governo italiano che aveva fornito in sede di armistizio le coordinate per colpire il Quartier Generale di Kesselring, che in seguito alla distruzione di Frascati si trasferì nei bunker del Monte Soratte a nord di Roma.
Lo affermò a chiare lettere il Maresciallo Rodolfo Graziani:
Io accuso Badoglio! È stato, insieme con la Casa Savoia, un uomo di nome Badoglio, che ha tradito i nostri alleati germanici e nipponici. Egli ha ingannato anche tutto il popolo italiano. Il Maresciallo Badoglio dopo avere sino all’ultima ora del giorno 8 Settembre assicurato sulla continuazione della guerra – e tutto questo quando già l’armistizio era stato firmato dal 3 Settembre – ha lasciato che gli anglo-americani completassero la distruzione di Napoli ed attuassero quella di Frascati. Compiuta quest’ultima azione- i seimila, dico seimila morti di Frascati lo accusano!- la notte sul 9 è fuggito ignominiosamente.
Rodolfo Graziani.
Di fronte a questa situazione non prevista – un’invasione alleata e la resa italiana allo stesso tempo, Kesselring e Vietinghoff improvvisarono rapidamente.
Il comandante della divisione Granatieri di Sardegna Gioacchino Solinas, l’unico generale che difese con le armi la Capitale, aderendo poi alla Repubblica Sociale, scrisse:
Insomma mentre gli italiani – comandi e truppe – dormivano o sonnecchiavano e negli altissimi comandi ci si perdeva in discussioni logorroiche e in bizantinismi confidando forse nello “stellone” d’Italia o nella invincibilità e sacralità di Roma, i tedeschi agivano fulmineamente con azioni studiate e preordinate in ogni dettaglio. Appena avuta notizia dalle radio straniere (Londra e Algeri) e dall’agenzia Reuters della conclusione dell’armistizio, essi saltarono addosso alla Piacenza e alla 220ª costiera mettendole fuori combattimento, disarmandole, catturandole e concentrandole come autentici greggi. Altrettanto è avvenuto in ogni altra parte d’Italia e fuori ove si trovavano truppe italiane e tedesche. A guerra finita gli italiani grideranno al proditorio attacco tedesco, all’inganno e altre simili facezie, quasi che la guerra non si fosse sempre fatta con gl’inganni, le astuzie e gli stratagemmi di ogni genere e mai con la ingenuità. Accampare la slealtà nemica e il mancamento agli accordi presi o alla parola data per giustificare la propria inazione o codardia non è solo da ingenui ma da inetti e da “fessi”. La lealtà si può invocare tra due gentiluomini, non tra due eserciti in lotta in cui ogni mezzo, compreso l’inganno, è ammesso e lecito pur di vincere o di non farsi sconfiggere. Tanto più quando uno di questi eserciti in lotta crede di essere stato tradito dal nuovo nemico che improvvisamente si trova di fronte[4].
Con l’aiuto di Westphal e del generale Kurt Student, Kesselring riuscì a persuadere il Comando Supremo a deporre le armi ed a dichiarare Roma città aperta il 10 settembre 1943, dopo una breve, strenua difesa da parte di una sola delle divisioni presenti a Roma, la Granatieri di Sardegna.
Annotò nel proprio diario il Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia:
La battaglia della via Ostiense, dalle prime notizie che giungono, sembra sia stata ben poco gloriosa per i nostri, fra i quali soltanto i granatieri e i carabinieri si sono battuti bene e senza paura. Ma altrettanto poco onorevole è stato per i tedeschi l’ingresso in città, accompagnato da indicibili episodi di grassazione, di saccheggio e di violenza, contro inermi cittadini. E vero che loro cercano di giustificarsi adducendo l’ostilità della popolazione, ma non è rubando automobili, biciclette, orologi, borsette che si combatte[5].
Anche Vietinghoff, usando la diplomazia, riuscì a effettuare gli stessi accordi nel sud. Kesselring, riuscì a evacuare la Sardegna l’8 settembre e la Corsica il 12 settembre, in questo caso affrontando la decisa reazione italiana ad Ajaccio e Bastia.
Qui si pone la questione della fuga del re, di Badoglio e dello Stato Maggiore da Roma a Ortona; se fuga si può definire l’attraversare l’intera penisola dal Tirreno all’Adriatico, senza nascondersi, ma in divisa (tranne Badoglio, in borghese), con automobili recati i guidoni di grado, compresa la corona reale, percorrendo la via Tiburtina Valeria venendo salutati militarmente ai posti di blocco tedeschi e fascisti – a Tivoli era accampata la Divisione Corazzata Legionaria Centauro 2, già Divisione Corazzata “M”, la Guardia del Duce, che aveva puntato, all’atto dell’armistizio i suoi cannoni Flak da 88 mm in direzione di Roma, contro gli italiani, e non contro i tedeschi ( il 3 settembre 1943 nel corso di un rapporto tenuto dal generale Carboni, comandante del Corpo d’Armata di Manovra, il generale Calvi di Bergolo affermò esplicitamente che
… In caso di emergenza, una emergenza facilmente intuibile dopo l’esame della situazione fatta dall’Eccellenza Carboni, sulla Centauro si potrà fare un assegnamento relativo. La Centauro è pronta a sparare contro gli angloamericani e i comunisti, ma contro i tedeschi non aprirà mai il fuoco[6]) – senza che nessun soldato tedesco muovesse un dito per arrestare il re, lo Stato Maggiore ed i ministri: si trattava di un percorso di 250 chilometri lungo la Tiburtina, da Roma al porto di Ortona, percorso da un corteo di automobili con a bordo più di 200 persone, tra cui il re, la regina e il principe di Piemonte compresi. Lo stesso Umberto di Savoia si chiese perché non fossero mai stati fermati, benché fossero stati incontrati numerosi posti di blocco tedeschi. Il convoglio venne fermato quattro volte dai tedeschi: ogni volta venne pronunciata la frase ufficiali generali e la colonna venne fatta proseguire. Ripetiamo che le automobili recavano i guidoni e che tranne Badoglio tutti erano in uniforme: e ciò mentre intorno a Roma si combatteva dalla sera precedente.
Se a ciò si aggiungono le circostanze della liberazione di Mussolini a Campo Imperatore il 12 settembre, durante la quale vi fu un solo morto, un milite forestale ad Assergi, ma al di là delle bombastiche e ridicole descrizioni dello Skorzeny i tedeschi non solo non disarmarono carabinieri e guardie di Pubblica Sicurezza, ma fraternizzarono con loro, come si vede nelle fotografie in cui italiani armati e raggianti e tedeschi circondano uno stranito Mussolini, viene naturale pensare ad un qualche accordo tra Kesselring e gli italiani.
Particolarmente significative in merito sono alcune dichiarazioni dell’SS- Obersturbannführer Dollmann pubblicate nel numero di novembre-dicembre 2009 di Nuova Storia Contemporanea, in cui è stato pubblicato il carteggio di Dollmann e di una testimonianza dell’ingegner Franco Manaresi, dai quali emerge il ruolo determinante svolto nella vicenda di Dollmann. In questo documento si evidenzia come il colonnello tedesco avrebbe avuto l’idea di uno scambio con i vertici italiani: ne era informato il solo Kesselring, che aderì all’idea, mentre né Hitler né l’ambasciatore Rahn e Wolff ne vennero informati.
Particolarmente importante è il passo in cui l’Obersturbannführer sostiene che Kesselring non solo fosse al corrente della fuga del re, ma che fu proprio il Feldmaresciallo a permetterla:
Kesselring era al corrente della fuga da Roma a Brindisi. Questo avvenne su mia iniziativa. I Reali passarono attraverso le linee tedesche, perché tutto questo terreno da Roma a Brindisi era in mano nostra. I Reali non potevano passare se i nostri non erano avvisati. Io non avevo informato Berlino. Questo ho fatto solamente da solo con Kesselring. Io non ho informato né Wolff (capo della polizia) né Rahn (facente funzione di ambasciatore) né altri miei superiori[7].
Se è vero quanto sostenuto da Dollmann, e non si ha ragione di dubitarne, fu evidentemente Kesselring che ordinò ai reparti dipendenti di non fermare il convoglio reale; e probabilmente fu Kesselring, con l’aereo, lo Junker Ju 88, che a lungo sorvolò la mattina del 10 la corvetta Baionetta, a far controllare che la fuga del re a Brindisi procedesse senza problemi[8].
Del resto, che ciò fosse avvenuto, lo ipotizzò anche il comandante della divisione Granatieri Solinas:
È stato scritto che Ambrosio, pur di salvare la vita a sé e agli altri che fuggirono a Pescara, si fosse accordato con Kesselring di non molestarsi a vicenda, di ignorarsi. Si tratta di una congettura, non provata né provabile da fonti attendibili. Ambrosio era incapace di un simile baratto; è però certo che aveva perso la testa, o per incapacità a tenerla attaccata al collo, o per ingenuità nei confronti dei tedeschi, o per tremenda paura dei medesimi; o, forse, per tutte queste ragioni messe insieme[9].
Ritenendo che l’approccio di Kesselring nel trattare con gli italiani fosse un’ulteriore indicazione delle sue tendenze italofile, l’OKW lo criticò severamente. E diverso fu anche l’atteggiamento di Rommel e Kesselring verso gli italiani dopo l’otto settembre: Rommel catturò il maggior numero possibile di militari italiani inviandoli in Germania, mentre Kesselring, pur emanando ordini draconiani per far rispettare l’ordine, preferì disarmare le truppe italiane rimandandole alle proprie case, e creando così assai meno risentimenti rispetto a quanto avvenne nel nord della penisola. La mancanza di un movimento partigiano degno di questo nome nel settore controllato dal Feldmaresciallo bavarese è stato spiegato anche con la diversità di atteggiamento dopo l’armistizio.[10]: il biografo di Kesselring e storico militare Kenneth Macksey scrive che
[Rommel] catturò spietatamente e deportò in Germania chiunque non collaborasse immediatamente con i tedeschi, provocando un’ostilità che si sarebbe manifestata in futuro. Gli italiani che non vennero presi nascosero le proprie armi, o fuggirono sui monti con esse.
A conferma di ciò si legga ciò che scrisse Solinas:
Nel percorrere il giardino prospicente l’ambasciata [tedesca] vedo una moltitudine di civili e militari italiani, fra cui taluni ufficiali, in riga con gavette e piatti, in mano per prendere il rancio. Mi si avvicina il maggiore Santucci, che conoscevo bene, dicendomi: «Ci hanno preso ieri sera per la strada dopo l’armistizio, ci hanno tolto la pistola e siamo qua rinchiusi e senza mangiare da più di ventiquattrore. Dicono che ci porteranno in un campo di concentramento o a lavorare in Germania». Torno indietro indignato dalla segretaria di Stahel, la quale non mi riceve limitandosi a rispondermi, da una finestra in tono beffardo; «Ja, Jawohl, li lasceremo liberi i vostri Granatieri». Seppi poi che molti fra coloro che si trovavano rinchiusi nella caserma e nell’ambasciata erano riusciti ad ottenere un lasciapassare e a raggiungere le rispettive famiglie sfuggendo in tal modo sia al campo di concentramento che alla non meno dura sorte riservata a tanti altri che, volenti o nolenti, furono in seguito mandati nel Nord Italia[11].
Probabilmente a tale atteggiamento di Kesselring si deve se molti ufficiali e Granatieri, compreso lo stesso Solinas, aderirono alla R.S.I., tanto che il I° battaglione Granatieri di Sardegna del raggrupp. Cacciatori degli Appennini fu l’unico reparto delle FFAA della RSI a non registrare neppure un caso di diserzione fino alla resa con gli onori delle armi il 5 maggio 1945.
Quale fosse il concetto di onore militare del Feldmaresciallo Kesselring lo si vide in occasione della consegna delle armi da parte dei Granatieri di Sardegna, quando venne deciso in modo decisamente umiliante di disarmarli dopo averli radunati presso Bagni di Tivoli; Solinas protestò e Kesselring ordinò che avvenisse presso i capisaldi tenuti dalla Granatieri prima dei combattimenti per Roma, come se i tedeschi non li avessero mai conquistati:
Il giorno 13 settembre si presentano al mio comando il capitano Reichtert della Luftwaffe e un sergente altoatesino che funge da interprete, invitandomi a trasferire tutta la divisione nella zona delle acque Albule (pressi di Tivoli) per effettuare il “disarmo”. Dice che nessun arma e nessun mezzo bellico debbono essere sottratti o distrutti, altrimenti avrebbe obbedito agli ordini tassativi e severissimi impartiti dal maresciallo Kesselring. Faccio presente che avrei consegnato le armi nelle caserme dei reggimenti; egli ribadisce che non ammetteva deroghe agli ordini ricevuti. A mia volta gli ripeto che non darò disposizioni perché la divisione si porti in quel di Tivoli. Di fronte alla mia ferma presa di posizione il Reichtert si allontana per prendere ordini. Ritorna poco dopo, dicendo che è stato accordato che il disarmo avvenga per singola compagnia nei rispettivi caposaldi (cioè nelle posizioni in cui le truppe si trovavano al momento dell’armistizio). E così è stato fatto[12].
Un tratto di politesse militare degno più dell’epoca federiciana che della Seconda Guerra Mondiale.
Poi venne il momento delle scelte. Citiamo ancora il difensore di Roma, che aderì alla Repubblica Sociale Italiana:
Poi, per me e per tantissimi altri, avvenne un dramma di coscienza; a quale delle due Italie e dei due governi che di fatto esistevano in quel momento bisognava dare la nostra opera di soldati? Non certo alle Italie governate dalle fazioni ma all’Italia una dalle Alpi alla Sicilia. Feci anch’io la mia scelta e ancora non so dire se giusta o sbagliata; lo dirà la storia. Se sbagliata, ho pagato. Ma allora ed ora la coscienza mi ha sorretto e mi sorregge perché ho operato solo al servizio e per il bene dell’Italia[13].
Pierluigi Romeo Di Colloredo
[1]Ibid.
[2] Notizie tratte da C. Comandini, La storia e i giorni. Le bombe su Frascati e la distruzione di Tuscolo, consultabile su https://www.scritture.net/mag/storia-bombe-frascati-distruzione-tuscolo/
[3]Ibid.
[4]G. Solinas, I Granatieri nella difesa di Roma, nuova ed. Roma 2015, pp. 47-48.
[5]. Sugli aspetti militari della difesa di Roma si veda l’ottimo lavoro di E. Cataldi, R. di Nardo, La difesa di Roma e i granatieri di Sardegna nel settembre 1943, Roma 1993, che fa giustizia di leggende quali la partecipazione di civili agli scontri, partecipazione che semplicemente non vi fu. a difendere Roma furono esclusivamente i militari.
[6] Sulla Divisione CCNN Corazzata “M”, si veda P. Romeo di Colloredo, Camicia Nera! Storia militare della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale dalle origini al 25 luglio, Bergamo 2017, pp. 175 segg.
[7]Cit. in F. Perfetti, Prefazione, in E. Dollmann, La calda estate del 1943, Roma, 2012.
[8]Kesselring rimase sempre legato a Dollmann; nella prefazione al suo libro l’eroe della paura, pubblicato in Italia da Longanesi nel 1955, il Feldmaresciallo scrisse: Eugenio Dollmann rappresenta esattamente il contrario di tutto ciò che il mondo è abituato ad associare al nome di SS, egli è stato l’uomo che, coi suoi soli mezzi ed entro i limiti a lui imposti, ha fatto di tutto per dare alla guerra un volto umano, e si deve riconoscere che in parte vi è riuscito.
[9]Solinas, op. cit., p.44
[10]Bitner, p. 26
[11]Solinas, op. cit., pp. 81- 82.
[12]Solinas, op. cit., p. 82.
[13]Ibid. p.92.
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In questo momento l’unica idea che può diluire la vergogna del tradimento e che agisce col senno del vero patriottismo è la tartaruga frecciata.
Complimenti all’ autore per il bellissimo articolo storico che fà ulteriore luce sulla grandezza di Kesserling, forse il miglior Generale tedesco, che riusci anche a trattenere e quasi ributtare in mare ad Anzio gli anglo americani e che riusci’ a tamponare una situazione molto difficile per il suo esercito in Italia