Roma, 26 lug – La vicenda di Marchionne è altamente istruttiva. Rivela, sinergicamente, la potenza dell’egemonia dei padroni del discorso e degli armigeri del pensiero unico al servizio dei dominanti e la subalternità culturale degli sconfitti del mondialismo, incapaci di organizzarsi culturalmente nella lotta. Per quel che concerne il primo punto, esso è chiaro come il sole. Così, senza pudore, si è rivolto Elkann ai dipendenti Fiat: «Saremo eternamente grati a Sergio Marchionne». Una beatificazione a tutti gli effetti, con tratti francamente ridicoli. Che ricordano da vicino le parole indirizzate dal Mega Direttore Galattico a Fantozzi, «mi raccomando, sia sempre rispettoso e fedele».
Il rotocalco turbomondialista la Repubblica – la voce del padrone – si è distinto, more solito, per il suo impeto di servile lirismo in difesa dei dominanti, rendendo chiaro una volta di più il proprio consustanziale obiettivo: far sì che i dominati amino le proprie catene e siano financo disposti a battersi in loro difesa, contro ogni eventuale anelito di liberazione. Sulle prime pagine del rotocalco Marchionne era beatificato in ogni modo, con il più servile tributo alla classe dominante. Tra i tanti titoli surreali che si sono susseguiti sul giornale glorificante i rapporti di forza mondialisti, ve n’è uno che mi ha colpito massimamente: Sergio Marchionne e quel maglione diventato icona di uno stile. Surreale è dire poco. Continua senza tregua la ridicola beatificazione di Marchionne operata dal rotocalco mondialista, voce del padronato cosmopolita orientato a far sì che gli schiavi amino i loro padroni. Ossia affinché la scena della caverna platonica torni a realizzarsi anche oggi: servi che osannano il padrone e lottano contro chiunque voglia trarli fuori dalla spelonca. Occorre opporsi alla beatificazione del delocalizzatore e del difensore degli interessi privati del capitale. Basti, tra le tante, rammentare questa vicenda. Marchionne era un nemico di classe e come tale non può essere beatificato.
Vengo al secondo punto, l’impotenza e la subalternità dei dominati, ossia degli sconfitti della mondializzazione. Il nemico si combatte quando è in forze. Sicché non ha senso oggi ed è anzi di cattivo gusto attaccare Marchionne. Occorre prendere esempio da Leibniz, che rinunziò a pubblicare i suoi Nuovi saggi sull’intelletto umano allorché Locke, il referente polemico, morì. Giusto opporsi alla beatificazione del nemico, sbagliato attaccarlo quando non è più nelle condizioni di lottare e di rispondere agli attacchi. Il dilagare degli insulti e degli attacchi contro Marchionne, in questi giorni, è anch’esso prova della subalternità dei dominati: i quali, quando non cedono passivamente alla beatificazione del nemico, lo coprono di insulti. In nessuno dei due casi si produce alcunché. E si dà solo testimonianza della propria disorganizzazione, grave nel primo come nel secondo caso. Non si produce alcunché, insultando un Marchionne ormai fuori dai giochi, perché l’organizzazione culturale e ideologica non avanza di un solo millimetro. Si resta anzi nel perimetro di quello che lo Hegel avrebbe definito il «vuoto formalismo» privo di ricadute pratico-concrete. La vera organizzazione nel conflitto e nella cultura deve invece reagire teoricamente e praticamente tenendo conto delle condizioni obiettive del conflitto e dei suoi agenti reali: in primis Mike Manley, la nuova dramatis persona del capitale cosmopolita targato Fiat.
Diego Fusaro
Sergio Marchionne, ovvero la beatificazione del padrone
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8 comments
“Padrone”….. che articolo di merda, degno de il manifesto. Ditemi cosa distingue Fusaro dai radicalc chic? Una maggior proprietà di linguaggio? Il diniego dell’antifascismo? Tanto basta per sdoganare l’ennesimo solone marxista? Ma lavorare mai?
personalmente non ho mai digerito marchionne sin da quando ha iniziato la demolizione del lavoro dipendente in Italia non per questo ritengo di essere marxista o radical chic che tra l ‘altro sono diventati i piu’ strenui difensori del padronato ma al contrario ho la tessera di CP italia perché il fascismo ha propensione al sociale giammai al padrone .
L’articolo è chiaramente di stampo marxista leninista, almeno dal punto di vista del linguaggio; devo erò riconoscere che la critica è più impietosa nei confronti della sinistra imperante, più attenta alle ideologie vincenti del capitalismo liberista ed internazonalista, piuttosto che agli interessi dei lavoratori e del patrimonio nazionale ex FIAT, oramai disperso.
Poi si può dire tutto, ma bisogna riconoscere la caratura superiore del personaggio, anche se ha sacrificato valori cari alla Nazione e al nostro mondo.
Non un genio del Male assoluto, però personaggio capace di godere dell’appoggio spreguidicato di un certo potere.
Bravo Fusaro.
Articolo comprensibile e ricco di spunti per ricominciare la lotta di classe.
Speriamo presto.
Grazie.
…non era ne ”buono” ne ”cattivo”…badava ai suoi interessi legati a quelli degli agnelli..il suo ruolo lo aveva scelto non in base ideologica, ma in base affaristica.. fare più soldi possibili, altro non contava…
Il fascismo era nato anche per difendere la Patria dall’abominio marxista. Sentire sproloqui su “lotta di classe” “padroni” “disorganizzazione dei dominati” fa solo venire voglia di vomitare. Penso che ospitare un radical chic come Fusaro (radical chic è stato coniato per definire i marxisti in cachemire, proprio come Fusaro) dimostri una grave sudditanza psicologica verso le élite pseudointellettuali di sinistra.
Marchionne non era né buono né cattivo, era uno che faceva il suo mestiere. Se non lo avesse fatto lui, al suo posto ci sarebbe stato un altro e sarebbe cambiato poco. Quello che è ridicolo mi direte è la consacrazione che ne ha fatto la repubblica, specchio dell’ipocrisia della sinistra mondialista .
Marchionne era un dirigente, e una descrizione-tipo che ho coniato per il generico dirigente recita: “ottime capacità, pessime intenzioni”. Non si fa di ogni erba un fascio? Questa è l’eccezione che conferma la regola — OGNI dirigente è persona dalle ottime capacità, che pone al servizio delle sue pessime intenzioni. Anzi, per definire ancora meglio l’erba che intendo includere nel fascio con assai ampia generalizzazione, sia ben chiaro che non sto parlando UN particolare tipo di dirigenza, ché ci sono quelle economiche, quelle politiche, quelle religiose, quelle sportive, quelle nel mondo dell’arte, quelle nel mondo della sanità… allargate, allargate senza compassione, la categoria del dirigente comprende un tipo umano ancor prima che un ruolo.
Chiudo con un detto dialettale tipico delle mie parti, una di quelle espressioni che racchiudono in poche parole (pure piuttosto triviali) più di un intero trattato di sociologia: “Quand ca la merda la munta’n scan, o ch’la spüssa, o ch’la fa dan”. Non si tema di generalizzare, che non è il caso.