Roma, 16 giu – Alla veneranda età di 101 anni, il 16 giugno 2010, si spegneva colui che molti considerano il “Lawrence d’Arabia” italiano: Amedeo Guillet. Le sue straordinarie avventure al comando di bande indigene in Africa, lo accomunano certamente al ben più famoso Thomas Edward Lawrence con la differenza, però, che questi aveva dietro un impero, quello britannico, ricco e potente, che lo finanziava e supportava mentre Guillet ha sempre combattuto solo e senza risorse.
Nato a Piacenza da famiglia aristocratica, frequenta l’Accademia Militare di Modena da dove esce sottotenente di cavalleria. Grazie alle sue doti, viene selezionato nella nazionale di equitazione per le Olimpiadi di Berlino ma dovrà rinunciare per partecipare alle operazioni militari in Abissinia.
La prima destinazione è la Libia dove decide di imparare l’arabo alla scuola coranica per bambini, apprendendo anche i dettami della religione islamica. Successivamente, partecipa alla guerra d’Etiopia, a quella di Spagna e nel 1939 torna ancora in Africa, questa volta in Eritrea, dove il Duca d’Aosta gli assegna il compito di combattere le formazioni ribelli, affidandogli il comando del “Gruppo Bande Amhara”, oltre 1.500 uomini di varie etnie: libici, eritrei, etiopi, yemeniti. Per contrastare la guerriglia ne mutua i metodi che si rivelano efficacissimi. Permette ai suoi uomini di portare al seguito le famiglie e lui stesso si innamora della figlia di un capo villaggio, la bellissima e coraggiosissima Kadija, che gli sarà a fianco finché resterà in Africa. Infischiandosene delle disposizioni degli alti comandi, anziché giustiziare i ribelli catturati, propone loro di unirsi alla banda, promettendo la morte in caso di tradimento. Non ci saranno mai casi di diserzione!
Durante un’operazione nella regione del Dougur Dubà, riesce a far scendere in campo aperto una grossa formazione eritrea. Durante la carica, il suo cavallo viene colpito, inforcatone un altro, viene ucciso anche questo ed allora, impugnata una mitragliatrice, comincia a sparare come un forsennato, in piedi in mezzo alla battaglia. Per questa azione gli viene conferita la MAVM ma, soprattutto, si guadagna, da parte dei suoi uomini, il soprannome di Commundar es Sciaitan (Comandante Diavolo) e l’aureola d’invulnerabilità.
Il 21 gennaio 1941, compie un capolavoro: il grosso del nostro esercito, appiedato e sfinito per la lunga marcia di ripiegamento, iniziata al confine con il Sudan, è tallonato da autoblindo e carri armati britannici della “Gazelle Force” . I nostri sono sul punto di essere circondati ed annientati. Amedeo Guillet, appena rientrato a Cheru con i suoi uomini, dopo un lungo giro di perlustrazione, malgrado la stanchezza, riparte immediatamente in soccorso. Raggiunto il nemico, lo aggira e, alla testa della sua banda, effettua una carica di cavalleria contro i carri che potremmo definire suicida. Guillet ed i suoi, galoppano verso morte sicura, brandendo pistole, sciabole e bombe a mano, contro i Matilda MK, che sparano “a zero” mentre le mitragliatrici falcidiano le loro fila. Le perdite sono pesantissime, 800 uomini tra morti e feriti, tra cui il fedele Tenente Renato Togni , immolatosi per coprire le spalle al suo comandante ma l’obiettivo di fermare per 24 ore il nemico è raggiunto, permettendo ai nostri reparti di riparare nella sicura Agordat. Grazie al sacrificio dei suoi uomini, migliaia di vite sono state salvate.
Nell’aprile del 1941, malgrado la caduta di Asmara e la resa italiana, Guillet decide di ignorare l’ordine di cessazione delle ostilità e si impegna in una serie di azioni di guerriglia. Con un centinaio di fedelissimi, abbandona la divisa per indossare indumenti arabi e per circa otto mesi porta lo scompiglio tra i nemici con attacchi a magazzini e convogli e rende insicure le vie di comunicazione distruggendo ponti, gallerie, linee telegrafiche. I servizi segreti britannici compiono sforzi enormi per catturarlo, mettono perfino una taglia di 1.000 sterline, una cifra enorme, eppure nessuno tradisce il Comandante Diavolo.
Amedeo Guillet è completamente calato nel personaggio che non ha soltanto le sembianze ma vive, pensa e prega proprio come un arabo, cadendo in una profonda crisi d’identità. Non sa più chi sia realmente e l’unica certezza è rappresentata dalla condanna a morte che pende sul suo capo. Ferito ripetutamente, vive una vita piena di stenti ma trova il modo di beffare più volte il comando inglese, presentandosi , irriconoscibile, per segnalare la propria presenza in località improbabili. Braccato, con pochi fedelissimi, prostrato nel fisico, senza risorse, riesce a tenere in scacco un intero esercito per un lunghissimo periodo, impedendo, di fatto, che possa essere inviato di rinforzo agli inglesi che combattono contro le truppe italiane, in Africa Settentrionale.
È questa l’epopea di Amedeo Guillet che assurge ad un livello qualitativo nettamente superiore a quella che ha visto protagonista il tanto osannato Lawrence d’Arabia che aveva disponibilità di mezzi quasi infinite. Ferito più volte, con la malaria che lo debilita, rimasto con pochi uomini, non può continuare e prende allora commiato dai superstiti e dalla cara Kadija che lo saluta con commozione e dignità, pienamente consapevole come questo saluto rappresenti un addio.
Si nasconde a Massaua dove lavora come scaricatore, poi venditore di acqua per racimolare i soldi e raggiungere lo Yemen. Si imbarca clandestinamente ma viene rapinato e gettato in mare, rischiando di affogare. Raggiunge miracolosamente la riva, affronta il deserto e, moribondo, viene salvato da un mercante. Dopo varie vicissitudini, raggiunge lo Yemen dove viene arrestato perché creduto spia degli inglesi che però ne chiedono l’estradizione. Incuriosito, il sovrano, vuole conoscerlo e affascinato dalla sua personalità, ne fa il precettore dei suoi figli e lo nomina Gran Maniscalco di Corte. Dopo circa un anno decide di ripartire e, beffando ancora una volta gli inglesi, fingendosi pazzo, si imbarca a Massaua su una nave della Croce Rossa che rimpatria i civili italiani rimasti in Eritrea.
Giunto in Italia, vorrebbe tornare in Africa a combattere ma ormai, a ridosso dell’armistizio il suo sogno rimane tale ed allora entra nel Servizio Informazioni. Nel dopoguerra, da fedele monarchico, si dimette dall’esercito, abbracciando la carriera diplomatica che proseguirà, peraltro, brillantissima.
Amedeo Guillet, per amore dell’Italia, ha rischiato la vita infinite volte ed è sempre sopravvissuto grazie alle sue capacità, alla sua forte tempra e… alla buona sorte. Egli ha sempre dichiarato di non aver mai conosciuto una persona più fortunata di sé stesso.
Tra “Lawrence d’Arabia” ed “Il Comandante Diavolo” c’è anche un’altra differenza: gli inglesi, attraverso libri, documentari, film, del loro connazionale hanno creato un mito, conosciuto in tutto il mondo e del quale vanno giustamente orgogliosi. Da parte nostra su Amedo Guillet è calata una coltre di vergognoso silenzio e, purtroppo, la stragrande maggioranza degli italiani non ha mai neanche sentito parlare del Comandante Diavolo.
Mario Porrini
Amedeo Guillet, comandate diavolo: il "Lawrence d’Arabia italiano"
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5 comments
Commovente, una vita straordinaria,epica………..una esistenza meravigliosa.
Veramente strabilianti il coraggio e l’intraprendenza di questo grande italiano Guillet!
Finalmente! Sono felice che ancora qualcuno lo ricorda, grandissimo uomo, a mio parere una delle storie più affascinanti e folli del secolo scorso…. Ma anche la più dimenticata.. peccato!
che uomo!!!
leggete il libro anche voi
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