Roma, 14 giu – La trattativa con Etihad è ancora in fase di definizione su numeri, tempi, modalità dell’investimento. Nel frattempo vengono a delinearsi i contorni dell’operazione, con l’intervento “preventivo” della Commissione Europea: «Se vengono investitori extra Ue possiamo considerarlo positivo o meno ma vogliamo reciprocità. Ci sono regole su proprietà, controllo e su aiuti di Stato», ha affermato il commissario ai trasporti, l’estone Siim Kallas.
Non un lessico al quale l’impostazione tipicamente liberista in auge a Bruxelles ci ha abituato. Precisa lo stesso Kallas: «La legge Ue prevede che le compagnie devono avere almeno il 51% del capitale sociale in mani europee e il controllo effettivo». Nell’attesa della conclusione dell’affare che dovrebbe portare la compagnia degli Emirati Arabi Uniti ad una posizione di rilievo nella fu compagnia di bandiera, vengono fissate le prime condizioni: sì quindi all’ingresso di capitali stranieri, ma la gestione deve rimanere in ambito comunitario. L’obiettivo è evitare che si possa ripetere l’operazione che ha visto Air Berlin finire nell’orbita della stessa Etihad, la quale pur non detenendo la maggioranza di diritto (vale a dire il 50% + 1 del capitale) esercita sul secondo vettore tedesco un controllo di fatto. Alle parole di Kallas ha fatto eco anche il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi: «Il governo farà rispettare la divisione tra la proprietà 49% e 51% come previsto dalla normativa europea. Cioè che il 51% sia comunque posseduto da compagnie di bandiera europee. Ma ho anche confermato che in ogni caso la maggioranza vorrà essere a controllo italiano».
Al di là delle parole e dei buoni propositi, di fronte allo schema previsto per l’ingresso di Etihad, la posizione di asimmetria in termini di forza contrattuale è già evidente in questa fase preliminare. Le condizioni poste dalla compagnia di Abu Dhabi -e sulle quali pochi sono i margini concessi- prevedono infatti più di 2000 licenziamenti e la rinuncia da parte delle banche ad una quota considerevole dei debiti in essere. Dall’altra parte, la maggioranza resterà pure tricolore ma sarà comunque frammentata fra vari soggetti tra i quali anche lo Stato che ha fatto il suo re-ingresso in autunno tramite Poste Italiane. Operazione sulla quale la Commissione Europea aveva, all’epoca, acceso un faro. L’ambito degli aiuti di Stato è infatti vigilato seriamente, con i commissari pronti ad intervenire ogniqualvolta il pubblico decide di fare il passo più lungo della gamba.
La posizione dell’Ue è di buon senso, prima ancora che politica. Sclerotica però, allo stesso tempo: escludere la possibilità di un intervento statale e allo stesso tempo difendere la “nazionalità” di un settore equivale, almeno nel caso italiano e la stessa storia recente di Alitalia lo dimostra, a richiedere la classica botte piena e moglie ubriaca. L’italianità (o l’europeità che si voglia) -come anche nel caso Telecom, per fare un altro esempio- era già persa da un pezzo e da parte sua significa tutto ed il contrario di tutto. Non proprio una lungimirante scelta di politica industriale.
Filippo Burla