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Sostituzione linguistica: il 17% dei giovani non è di madre lingua italiana

by Giuliano Lebelli
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Roma, 28 dic – In Italia si parla ancora prevalentemente in italiano. E questa è già una notizia, di questi tempi. L’Istat, tuttavia, rende noto che arabo e cinese scalpitano, cosa che peraltro non può sorprendere. Secondo la rilevazione, il 90,4% della popolazione è madre lingua italiana, anche se, rispetto al 2006, aumenta la quota di quanti dichiarano una lingua madre diversa (dal 4,1% al 9,6%: si tratta all’incirca di 4 milioni di individui, nel 2006 erano circa 2 milioni 800mila persone). Le più parlate sono il rumeno, l’arabo, l’albanese, lo spagnolo e il cinese. Cifre ancora rassicuranti? Non proprio, se guardiamo alla presenza di persone con lingua madre diversa dall’italiano nella popolazione compresa tra i 25-34 anni (16,9%). Per quanto riguarda le altre fasce d’età, fra chi ha 6-24 anni i non madre lingua italiana sono il 9,4%, nella fascia 35-44 il 14,7%, in quella 45-54 il 10%, in quella 55-64 il 6,3%, mentre infine fra chi ha dai 65 anni in su solo l’1,7% non è di madre lingua italiana.

Le aree del Paese più interessate dalla presenza di persone di lingua madre straniera sono il Nord-est (15,2%) e il Nord-ovest (11,5%), con una maggior concentrazione nei comuni Centro di aree metropolitane (11,6%). Tale percentuale è particolarmente significativa in regioni come l’Emilia Romagna (13,4%), la Lombardia (12,3%) e la Toscana (11,8%). Stranieri a parte, fra gli italiani diminuisce la percentuale di persone che parlano prevalentemente dialetto.

Nel 2015 si stima che il 45,9% della popolazione di sei anni e più (circa 26 milioni e 300mila individui) si esprimessero prevalentemente in italiano in famiglia e il 32,2% sia in italiano sia in dialetto. Soltanto il 14% (8 milioni 69mila persone) usava, invece, prevalentemente il dialetto. Per tutte le fasce di età diminuisce l’uso esclusivo del dialetto, anche tra i più anziani, tra i quali rimane comunque una consuetudine molto diffusa: nel 2015 il 32% degli over 75 parlava in modo esclusivo o prevalente il dialetto in famiglia (erano il 37,1% nel 2006). La conoscenza di una o più lingue straniere interessa il 60,1% della popolazione di 6 anni e più (34 milioni 370mila persone), in aumento rispetto al 56,9% del 2006. Tra chi conosce una o più lingue straniere, il 48,1% conosce l’inglese, il 29,5% il francese e l’11,1% lo spagnolo.

Giuliano Lebelli

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3 comments

Werner 28 Dicembre 2017 - 12:46

Mi raccomando introduciamo lo ius soli, così rendiamo “cittadini” numerosi individui nati in Italia che però non hanno l’italiano come lingua materna, ma la lingua del paese d’origine dei genitori.

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Huda 28 Dicembre 2017 - 10:00

Warner io sono una di quei “cittadini” e, come puoi intuire, nessuno di noi aspira ad essere cittadino per un presunto sentimento patriottico (inesistente): la maggior parte di noi eleggibile allo ius soli è incastrata tra due culture/paesi diversi, il nostro è un semplice sentimento apolide e andiamo a braccetto con la cultura moderna cosmopolita che vede la doppia cittadinanza non un handicap o una minaccia ma una risorsa. Nella pratica semplifica un sacco di procedure che diversamente ci tengono un giorno intero al consolato o nelle questure e include anche noi in quei privilegi che l’UE offre: nessuno di noi aspira ad essere un cittadino meramente italiano ma EUROPEO; io, per esempio, ho la possibilità di frequentare le università scozzesi godendo della loro gratuità poiché non sono più studente internazionale ma europea. Questo è un vantaggio che già parla di sé e chi conosce i vantaggi di una laurea inglese non aggiunge ma. Ad ogni modo non c’è nessun vantaggio nell’essere un mero cittadino italiano, il Bel paese non è fruibile per il proprio futuro, per quanto buono il cibo sia e le città belle e artistiche. Il “problema” dello Ius soli lo hanno affrontato molti paesi europei ma l’Italia è sempre indietro anni luce. L’Europa è molto più internazionale, il mondo è molto più internazionale (oh, che novità). Svegliatevi, geni di vecchio stampo: non andare più di moda. Sorry not sorry.

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Huda 28 Dicembre 2017 - 9:32

Ma il non essere di madre lingua italiana non rappresenta né un ostacolo né una minaccia: io, studentessa di madre lingua araba, parlo un italiano perfetto che supera mille volte il mio arabo da figlia di immigrati ed è una situazione comune a tutti quei 16,9 % menzionati nel testo soprastante. Mentre voi vi preoccupate di un italiano “minacciato”, quel 16,9% si preoccupa della propria lingua madre che praticamente viene sostituita dalla lingua del paese ospitante per ovvie ragioni di comunicazione. Tutto questo per sottolineare che le informazioni riportate possono anche essere corrette ma sicuramente non sono complete giacché non si tiene conto di noi figli di immigrati che abbiamo rimpiazzato l’italiano all’arabo, cinese o albanese, che spesso scriviamo temi migliori del compagno di banco italiano, che rappresentiamo non solo una risorsa ma anche uno strumento per rendere ancora più internazionale e viva questa lingua, giacché trattandosi di un paese che invecchia noi rappresentiamo un ottimo bilancio se la vogliamo mettere sotto questo punto di vista. Ma se il senso del testo è un inneggiare all’odio e alla paura verso le proprie origini minacciate dai presunti analfabeti, evito di prender parte a un confronto cosi inutile e medioevale. Ad ogni modo mi ha fatto riflettere molto sul futuro di questa lingua: forse i professori di italiano non saranno più né precari né sottopagati..non c’è certezza…l’unica mia solida convinzione è che io, da madre lingua araba, non potrei dimenticare l’italiano manco se lo volessi.

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