Riad, 12 nov – Agli occhi occidentali l’Arabia Saudita è spesso abbastanza incomprensibile: gli intrighi di palazzo, la centralità del trono e la facilità con cui i vari clan risolvono i problemi con la violenza e la morte degli avversari, ricordano una sorta di Bisanzio nel deserto. L’amicizia, o più correttamente, l’alleanza strategica con gli Stati Uniti ha permesso al regime di ottenere una enorme capacità di tutela della propria sovranità (nella pratica garantita per interposta persona dagli Usa stessi) in cambio di petrolio a prezzi bassi è stata un ottimo affare a lungo proteggendo l’élite saudita da molte sfide del mondo esterno, tuttavia pare essere alla fine.
La recente incoronazione del Principe Mohammed Bin Salman ha portato più cambiamenti in questi pochi mesi che negli scorsi decenni: la tensione col Qatar (e i relativi, moltissimi, alleati), il congelamento di circa 800 miliardi di dollari di importanti personaggi sauditi recentemente arrestati, qualche incidente di troppo in cui sono morti nemici interni ed alti dignitari legati alla vecchia guardia più orientata religiosamente, i primi passi di una timida apertura verso i diritti delle donne, la decisione di orientarsi verso una economia non dipendente dal petrolio entro il 2030.
In politica estera abbiamo visto in poco tempo un tentativo, misurato e motivato da interessi quantificabili per entrambi, di avvicinamento persino alla Russia dalla quale sono state acquistate armi.
Cosa sta accadendo? La sensazione è che la nuova classe dirigente sia consapevole che il futuro del regime non può più basarsi su quelli che sono stati i due pilastri storici della diplomazia di Riad: l’alleanza con gli Usa ed il petrolio. Il valore del secondo sta calando e non tornerà (a meno di guerre o stravolgimenti radicali a breve) alla centralità che ha avuto in passato (basta vederne il prezzo al barile, dimezzato rispetto a qualche anno fa) e soprattutto perchè si percepisce che la dottrina di Trump sia di graduale sganciamento da questa area del mondo. In questo senso occorre vedere il via libera alle enormi commesse di armi che Trump ha venduto ai sauditi (in larga parte non consegnate per ora): il tutto va letto come un “armatevi e vedetevela voi” ed ad una minor propensione ad impegnarsi nella zona. Il tutto di fronte al fatto che lo storico avversario iraniano, senza la tutela stritolante di Washington, ha saputo costruirsi una maggiore diversificazione economica, un esercito (in proporzione) più efficiente e soprattutto guadagna continuamente credito verso il mondo sciita e peso nella zona.
La nuova classe dirigente saudita intende quindi svincolarsi e tutelare la propria sovranità ed i propri interessi tramite i propri mezzi e non tramite alleanze che stanno perdendo valore e devono o cedere lo spazio a nuove alleanze o almeno essere ridiscusse (come è più probabile accada qui): gli strumenti non sono pochi in realtà. L’Arabia Saudita ha un enorme peso culturale e spirituale all’interno del mondo arabo e quantità di denaro accumulate negli scorsi decenni che possono permettere davvero di diventare una potenza regionale.
Quale sarà dunque il futuro dell’area? Vedremo una Arabia Saudita sempre più attiva nel difendere i propri interessi e nel danneggiare quelli dei propri avversari: il mondo sciita in generale e l’Iran in particolare. A prescindere dalle forme nuove che prenderà l’alleanza con gli Usa è molto probabile che quindi questo maggiore attivismo, questo occuparsi direttamente della tutela dei propri interessi può essere un importante fattore di destabilizzazione nella zona.
Guido Taietti
2 comments
Senza ombra di dubbio
…presidente libanese raggiunge il ”golfo” e da lì annuncia la rinuncia alla presidenza accusando gli sciiti… il capo ”beduino” richiama in patria i sudditi che si trovano in territori controllati da sciiti…. Se non sono ancora in guerra, poco ci manca…