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Mostre e turismo: l’Italia ha sempre più voglia di Giappone. Esotismo o arricchimento culturale?

by La Redazione
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Roma, 7 ott – La penisola italiana è sempre più attratta dall’arcipelago del Sol Levante. Non sono semplici chiacchiere ma dati concreti a dimostrare una fascinazione in continua crescita, basti pensare all’incremento del turismo nel 2016, quasi del 16%, con 119.30 visitatori italiani in terra nipponica. Dopotutto è sufficiente camminare per le strade d’una qualsiasi città italiana per accorgersi del proliferare di veri e presunti ristoranti giapponesi. Il trend è decisamente evidente nel centro più moderno d’Italia, Milano, dove ad ogni passo si inciampa letteralmente in un sushi con la formula “all you can eat”, in chioschi che preparano ramen, in negozi Hello Kitty e persino in scabrosi centri massaggi “giapponesi”. Va da sé che tutta questa richiesta d’esotico viene nella stragrande maggioranza dei casi intercettata dalla comunità cinese, non potendo ovviamente essere soddisfatta dall’esigua presenza giapponese, appena 7 mila residenti in tutto il paese (giusto per intenderci la comunità indiana ne conta 150 mila circa).

Sempre a Milano, in questi giorni, ha aperto i battenti, al Museo della Permanente, la mostra monografica su Utagawa Kuniyoshi, “il visionario del mondo fluttuante”, maestro del XIX sec. della pittura e della silografia in stile Ukiyo-e. Evento che sta suscitando molto interesse soprattutto tra i più giovani, lo testimoniano i 30 mila mi piace già raggiunti su Facebook dalla pagina dell’esibizione. Dopotutto terminava lo scorso gennaio, a Palazzo Reale, la mostra record Hokusai-Hiroshige-Utamaro, in 118 giorni di programmazione 180mila visitatori, con una media di 1.523 persone al giorno e 7.500 ingressi solo nell’ultimo weekend. Difficile, probabilmente, replicare la stessa affluenza con una monografica su Antonello da Messina o Lorenzo Lotto. Da segnalare è anche il successo di Muji, marchio senza logo d’oggettistica e abbigliamento normcore (fusione di normal e hardcore, alternativo). Più di 700 negozi nel mondo e cinque a Milano, oltre che a Bologna, Venezia e Torino. Perfino l’italiana Coswell, gruppo industriale di prodotti per la cura ed il benessere del corpo, ha lanciato sul mercato il marchio Bionsen, un docciaschiuma agli oligominerali termali giapponesi con un design tutto nipponico. Ideogrammi, rilassanti onsen e fiori di loto son stati una vincente strategia di marketing e comunicazione del prodotto.

Un paese, il Giappone, in cui l’antico e il moderno coesistono stabilmente, l’estrema avanguardia tecnologica con le tradizioni millenarie, seppure con tutte le contraddizioni del caso. Sarà forse questa la ragione dell’infatuazione italiana per questa terra? In fondo non è un segreto che l’Italia stia facendo ben poco per conservare la propria identità culturale che niente avrebbe da invidiare ad alcuno. Stesso discorso per quanto riguarda tecnologia e innovazione. Nonostante i primati nostrani, il Giappone è inevitabilmente guardato con riverenza per la qualità dei suoi prodotti e servizi. Non si può dimenticare come i treni Frecciarossa di Ansaldo Sts e Breda siano stati ceduti due anni fa ai giapponesi di Hitachi. Nell’era della globalizzazione è molto facile banalizzare la propria cultura, figuriamoci quella altrui. Ecco pertanto il rischio che corre l’Europeo medio nel volersi avvicinare a quel calderone così affascinante chiamato “Oriente”, ovvero semplificare superficialmente tutto ciò che va da Istanbul a Okinawa, utilizzare a proprio uso e consumo dei retaggi non compresi fino in fondo. Ne consegue che agli occhi di tanti sprovveduti l’India sia per esempio solo un pacifico paese colorato dove si mangia riso al curry. Poco importa il sistema delle caste o l’esistenza del grande poema epico Mahābhārata. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda il Giappone: un certo tipo di mediocrità occidentale vorrebbe prendere dal paese del sol levante solo uno sterile esotismo di costume fatto di manga e sushi sul rullo da 12.50€, senza voler invece riflettere seriamente su un popolo fiero e compatto.

Terza maggiore economia al mondo, con una capitale che sebbene abbia un’area metropolitana di 30 milioni di residenti è al giorno d’oggi ancora lontana dal terrorismo islamista. Decimo paese più abitato al mondo, primo per longevità dei suoi abitanti e settimo per densità di popolazione tra gli stati con più di dieci milioni di abitanti, il Giappone è una nazione in cui vige lo ius sanguinis e dove la disoccupazione non raggiunge il 3%. Tassi molto bassi di immigrazione e di residenti che non posseggono origini etniche giapponesi, ma anche un indice di criminalità non elevato per una terra con tale sviluppo, soprattutto se comparato a quello presente negli Stati Uniti, nell’Unione Europea e nei restanti paesi industrializzati dell’Asia. Nonostante si parli molto d’una grave crisi demografica interna, che effettivamente esiste, il Giappone non ha percentuali di natalità così dissimili dalla ricca e multietnica Germania e dalla stessa Italia, con la differenza che non ospita al suo interno le stesse cifre di non autoctoni. Chi ha saputo catturare con precisa maestria l’essenza del Giappone di ieri e di oggi è l’ex console Mario Vattani, autore degli avvincenti romanzi “Doromizu” e “La via del Sol Levante. Un viaggio giapponese”, entrambi libri fondamentali oltre che piacevolissimi per l’occhio italiano che vuole imparare a scrutare il paese dei Samurai.

Altro Italiano che ha narrato finemente lo spirito nipponico è Federico Goglio, in arte Skoll; indimenticabili gli album “Sole e Acciaio” e “Il Sogno di Mishima”, ma degno di nota anche il suo libro uscito nel 2015 “Danzando nel cratere del vulcano: l’universo eroico di Yukio Mishima” con tanto di prefazione dello stesso Vattani. Kamikaze, Tatenokai, Seppuku e l’estetica di Yukio Mishima illustrati con artistica devozione. Sia le produzioni di Goglio che quelle di Vattani sono ottime opportunità di arricchimento culturale che il nostro paese esprime per quanto riguarda il Giappone. C’è da augurarsi che sempre più Italiani indirizzino la propria curiosità verso opere di questo levatura senza lasciarsi catturare dalle reti del volgare consumismo mondialista. Il Giappone è qualcosa di troppo poetico e silenzioso per essere banalizzato dalle sole ragioni del mercato.

Alberto Tosi

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