Roma, 28 lug – Giornalismo e politica spiccia (spesso per propaganda e/o giustificazione della propria ignavia) ci stanno martellando parlando di cambiamenti climatici connessi ad eventi meteo “catastrofici” sempre più frequenti: ad ogni sottopasso che si allaga, ad ogni albero caduto per il vento ed ogni volta che le nostre strade si trasformano in torrenti di montagna, tv ed assessori ci dicono che “è colpa dei cambiamenti climatici”.
Non è così e vi spieghiamo perché partendo dalla premessa che il clima è in continuo mutamento e che non bastano carote di ghiaccio e sezioni stratigrafiche per capire l’intensità dei fenomeni meteo occorsi nelle ere geologiche passate o nei tempi preistorici all’alba della civiltà umana. Sappiamo però, grazie a questi studi, se il clima fosse più caldo o più freddo rispetto ad oggi, ed anche qui, come vedremo, ci sono parecchie sorprese. Per dimostrare che parlare di meteo è diverso rispetto a parlare di clima e che i due fenomeni non sono sempre interconnessi partiamo da una considerazione locale fatta dal Centro Meteo Lombardo di recente ma che è valida per tutto il territorio nazionale e che ha dei risvolti globali; citiamo testualmente: “Trombe d’aria, nubifragi, alluvioni lampo, grandinate ed altri fenomeni temporaleschi – più o meno catastrofici – appartengono da sempre al clima lombardo. Esistono testi storici che documentano – con tanto di data e località – gli eventi meteorologici più severi dei secoli passati, alcuni addirittura risalenti all’epoca romana. Fino a pochi decenni fa, morte e distruzione su larga scala erano condizioni necessarie affinché ne fosse tramandata memoria ai posteri. Vale a dire: un quartiere allagato o un alpeggio franato, magari con perdita di solo bestiame con al più qualche pastore, erano episodi che non balzavano nemmeno alle cronache di paese”. La casistica di questi eventi catastrofici, così come riportata dagli esperti del Centro, è ricchissima di eventi catastrofici che, come dicono, se avvenissero oggi produrrebbero “disgrazie inimmaginabili”. Qualche esempio ricavato dalla statistica dei tornado: 23 luglio 1910 – Brianza occidentale – 60 vittime, 29 agosto 1928 – Monza – una decina di morti e svariati feriti, 16 giugno 1957 – Oltrepò Pavese – 6 vittime e moltissimi feriti (questo è stato il più violento tornado lombardo classificato come EF4 nella scala Fujita), 7 luglio 2001 – Arcore/Concorezzo – 90 feriti. Sempre il Centro Meteo Lombardo ci fa sapere che se allarghiamo la ricerca al nord Italia si aggiungono tanti altri eventi catastrofici di questo tipo (il Centro ne cita due: Venezia 1970 – 36 morti e Treviso 1930 – 23 morti).
Su base statistica quindi, nonostante i media e la propaganda di certi enti locali dicano il contrario, gli eventi temporaleschi intensi nel globo non sono affatto in aumento, anzi, risulta addirittura il contrario, o almeno così dicono alcune ricerche reperibili da fonti illustri.
Analizzando ad esempio il numero di tornado violenti (>EF3) occorsi annualmente negli Usa dal dopoguerra ad oggi, notiamo una lieve tendenza al calo delle frequenze [fonte: NOAA – Storm Prediction Center].
La stessa World Meteorological Organization (WMO), in un suo documento dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dal titolo “Managing the risks of extreme events and disasters to advance climate change adaptation. Summary for policymakers”, ammette che c’è comunque relativa debolezza e scarsa evidenza su scala mondiale per quanto riguarda statistiche di lungo periodo che mostrino aumenti d’intensità o frequenza degli eventi estremi. Per dirla in modo semplice non è affatto dimostrato e dimostrabile che un aumento delle temperature del globo produca un aumento di eventi meteo catastrofici.
Anche per il territorio italiano non è possibile dire che vi sia un incremento di questi eventi, anzi, secondo il Centro, non è possibile stabilire con esattezza un andamento specifico dei fenomeni presi in esame per “inaffidabilità di alcuni dati, vuoi per insufficiente copertura oppure per forte modifica dell’impegno antropico dei suoli nel corso degli anni”. Quindi se non si sentono le sirene di allarme di televisione, politica disonesta e di certi siti non proprio seri, e se si è intellettualmente onesti, bisogna ammettere che non c’è l’evidenza scientifica inequivocabile di un aumento dei fenomeni intensi sia su scala locale sia globale.
Veniamo ora all’annoso problema del riscaldamento globale, e cerchiamo di chiarire alcuni passaggi grazie ad una analisi di Cliff Harris (climatologo) e Randy Mann (meteorologo). Sino al 2006 le temperature medie della Terra erano poco più di 0,5°C maggiori rispetto alla media del XX secolo con un crollo avvenuto tra il 2007 ed il 2008 in cui tornarono a valori precendeti mentre la temperatura degli oceani ebbe un rimbalzo aumentando sino a 14,8°C. Secondo gli autori (e secondo il NOAA) questi sbalzi nelle temperature, suddivisi in cicli di breve e lunghissimo periodo, sono la norma nella storia del nostro pianeta: il clima più caldo in assoluto ci fu durante il Neoproterozoico (tra 800 e 600 milioni di anni fa) mentre nel Paleocene-Eocene (56 milioni di anni fa) la temperatura media della Terra si stima fosse di 22°C, cioè quasi 8 gradi superiore rispetto a quella attuale di 14,4°C. Al contrario altre evidenze date dalla geologia ci dimostrano che ci sono state almeno 5 grosse “ere glaciali”. Una, la meglio documentata e su scala maggiore, è quella capitata circa 850 milioni di anni fa quando il nostro pianeta era interamente coperto dai ghiacci (viene detto “Terra palla di neve”), evento che fu terminato da una serie di eruzioni vulcaniche sottomarine e da cicli solari “più caldi”. Per quanto riguarda cicli più brevi dal punto di vista temporale, gli scienziati ritengono che uno dei fattori da tenere in considerazione siano le correnti oceaniche: il cambiamento di queste (come il Niño o la Niña) ha portato all’aumento record delle temperature nel 2016 mentre nel 2007 la Niña, unita ad una bassa attività solare, ha contribuito al decrescere delle stesse con aumento di precipitazioni nevose in America del Nord, Europa, Asia e Russia. Stesse condizioni che, con ogni probabilità, si ripeteranno nel 2020 e forse in modo più marcato se si accompagneranno ancora ad un minimo del Sole. Le cause di questi sbalzi repentini nella temperatura degli oceani non sono ancora chiare: alcuni scienziati credono che possano essere imputabili all‘aumento improvviso dell’attività vulcanica sottomarina. I ricercatori continuano costantemente a scoprire nuovi vulcani sottomarini attivi e bocche idrotermali che grazie alla loro attività periodica possono influire sul regime delle temperature dei mari. Recentemente, inoltre, sono stati scoperti settori di fondo oceanico in cui l’attività idrotermale è dalle 3 alle 6 volte più intensa rispetto al normale: si trovano nelle zone di dorsale ovvero dove le placche tettoniche si separano sotto la spinta dei movimenti di risalita magmatica. Nel 2003 almeno 9 nuove bocche idrotermali sono state scoperte presso la Gakkel Ridge, nell’oceano Artico, e si crede possano aver contribuito allo scioglimento dei ghiacci grazie all’apporto di calore.
I dati sono spesso contrastanti: sin dal 1950 le informazioni raccolte suggeriscono che le temperature degli oceani stiano aumentando e anche secondo una ricerca del 2013 condotta presso l’Università dell’Alabama si evince che i modelli indicano il “naturale occorrere della corrente El Niño nell’Oceano Pacifico può essere responsabile di una porzione sostanziale di riscaldamento globale registrata negli ultimi 50 anni”. Per assurdo, a contrastare lo scioglimento dell’Artico, c’è l’aumento dello spessore dei ghiacci dell’Antartide nel settore centro orientale. Questa porzione del continente sta sperimentando un incremento delle precipitazioni nevose e ha guadagnato circa 100 miliardi di tonnellate di neve all’anno dal 1991 al 2008, sebbene ci sia un settore, quello occidentale, che sta registrando una lenta perdita del manto glaciale. Ancora va ricordato come nei primi anni ’70 del secolo appena trascorso il nostro pianeta stava vivendo un breve ciclo di clima freddo e secco che portò la comunità scientifica a parlare di una seconda “piccola era glaciale” dopo quella ben più famosa compresa tra il 1300 ed il 1800. Approssimativamente ogni 102 anni poi, la Terra subisce il ritorno di un ciclo di clima molto più caldo e secco: l’ultima volta che successe, secondo i dati analizzati dal Dr. Wheeler dell’Università del Kansas per più di un decennio tra gli anni ’30 e ’40, fu nel 1932.
Insomma siamo ben lungi dall’aver compreso come funzioni il clima sulla Terra e dovremmo pertanto ricordare che i periodi più freddi sono di solito venuti in seguito a periodi molto caldi. E’ il caso ad esempio della “piccola era glaciale” già citata che ha seguito un periodo molto caldo durato dal 900 al 1300 d.C. A partire poi dal 2500 a.C. cioè da quando è possibile avere un record più o meno affidabile di storia dell’uomo, ci sono stati almeno 78 cambiamenti climatici su scala globale inclusi due principali negli ultimi 40 anni.
Vittorio Sasso