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Processo Bossetti: ecco tutto quello che non torna

by Cristiano Coccanari
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Brescia, 7 lug – Si è svolta ieri di fronte alla corte d’assise d’appello di Brescia la terza udienza del processo contro Massimo Bossetti, accusato dell’omicidio della tredicenne Yara Gambirasio. Un omicidio che ha fatto scalpore anche per la giovanissima età della vittima, e per il cui processo tuttavia è stata stabilita sin dalla prima udienza l’esclusione di telecamere, registratori audio, fotocamere, e qualsiasi dispositivo che possa riprodurre le udienze in audio o in video. Un processo la cui cronaca è affidata dunque ai taccuini vintage dei cronisti con carta e penna, e per il quale non potremo ascoltare le consuete cronache audio su Radio Radicale, né vedere alcun immagine televisiva, nemmeno mesi dopo la fine del processo su Un giorno in pretura.

Se questo provvedimento giovi all’accusa o alla difesa non sta a noi stabilirlo, certo non giova alla possibilità per i cittadini di saperne di più su come verrà trattato in appello questo importante caso di cronaca nera. Un caso sul quale, già dal processo di primo grado, gravano alcune importanti ombre che sembrano non rassicurare sullo stato della giustizia in Italia, anche a prescindere e al di là del caso in oggetto.

  • La questione dell’MtDNA mancante

Quella dell’assenza del DNA matrilineare nella famosa “traccia mista” rinvenuta vicino agli slip di Yara è forse la questione più dibattuta, e rispetto alla quale la sentenza di primo grado non pare aver dato significative risposte. Il DNA mitocondriale ha la caratteristica di non identificare univocamente un individuo, ma di essere condiviso dalla sua linea genetica materna. A un certo punto delle indagini, quando si stavano effettuando nella zona migliaia di test del DNA, su alcune donne originarie della Val Brembana viene effettuato un test, non sul DNA nucleare ma solo su quello mitocondriale rilevato dalla traccia mista. Tra queste donne c’è anche Ester Arzuffi, ma il test risulta negativo, pur condividendo ovviamente la madre del presunto colpevole lo stesso MtDNA. Solo alcuni mesi dopo, successivamente all’arresto del figlio Massimo Bossetti, si scopre l’arcano: quel test era risultato negativo perché nella traccia mista l’MtDNA condiviso da Bossetti e sua madre, semplicemente non c’era. “Impossibile in natura”, chioserà il dr. Marzio Capra, già vicecomandante dei RIS di Parma e che solo successivamente accetterà il ruolo di consulente della difesa. Infatti, sosteneva ii genetista, essendo l’MtDNA molto più resistente del DNA nucleare (anche perché ne esistono centinaia di copie in una cellula contro solo due del nucleare), ci si potrebbe aspettare semmai che sia presente l’MtDNA e assente il DNA nucleare, ma mai il contrario. Questo è del resto il motivo per cui il DNA mitocondriale, pur non garantendo identificazione univoca, viene utilizzato nelle indagini giudiziarie quando non è più possibile estrarre il DNA nucleare. Perché invece in questo caso è proprio quello mitocondriale a mancare? Dalla procura, e dalla sentenza di primo grado, non sono ancora arrivate risposte esaurienti, e già questa anomalia dovrebbe forse giustificare la ripetizione del test.

  • I kit scaduti

Si scopre poi durante il processo di primo grado, quando la procura di Bergamo dopo varie insistenze si decide a produrre i raw data (dati grezzi) del test, che esso è stato effettuato con kit scaduti. Nel mondo reale, già solo questo basterebbe per invalidare un test di tale importanza e suggerire la ripetizione. In quello della Procura e poi della Corte di assise di Bergamo, che rigetterà la richiesta della difesa, evidentemente no.

  • L’ultimo colpo di scena: la fotografia satellitare senza il corpo di Yara

Proprio all’inizio del processo di primo grado, il blogger Gianluca Neri, animatore del sito Macchianera, che sta realizzando un documentario in 8 episodi proprio sul caso di Ignoto 1, riesce a reperire, acquistandola, una foto scattata nel campo di Chignola d’Isola un mese circa prima del rinnovamento del corpo di Yara, e due mesi dopo la data presunta della sua morte: ebbene, laddove è stato ritrovato, il corpo della ragazzina non appare. Questo particolare cozzerebbe con l’intera ricostruzione dell’accusa e della sentenza di primo grado, che invece sostiene che proprio lì Yara sarebbe stata colpita e abbandonata morente. Al di là delle questioni – da lasciare ai tecnici – su quanto la risoluzione dell’immagine satellitare possa ‘nascondere’ o meno la presenza del corpo, è un altro il fatto inquietante, che getta altre pesanti ombre sul rispetto dei diritti e prerogative della difesa: la procura dichiara che quell’immagine era già in suo possesso, ma semplicemente non si era ritenuto di allegarla alle oltre 60.000 pagine degli atti. E’ noto però che la procura non può nascondere prove o elementi che vadano a favore della difesa, ma ha al contrario il dovere di riportarli e valorizzarli. Perché è stato compiuto questo abuso processuale? Solo perché la foto avrebbe messo in crisi la ricostruzione dell’accusa?

Certo è che questo caso rilancia ancora una volta la questione della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e magistratura giudicante. Poteva a cuor leggero il presidente della corte di assise di Bergamo affossare in primo grado un’inchiesta per la quale i colleghi della procura hanno fatto spendere ai cittadini 3 milioni e seicentomila euro solo per i test genetici compiuti su 18.000 persone?

Nella prossima udienza del 17 Luglio, in ogni caso, la corte di assise di Brescia dovrà esprimersi sull’accoglimento o meno della richiesta della difesa di Bossetti di ripetizione del test sul DNA della traccia mista e della relativa perizia. Stanti le anomalie e i dubbi riportati, sembrerebbe quasi un atto dovuto nel momento in cui si sta condannando un uomo all’ergastolo. C’è un giudice a Brescia? Lo vedremo presto.

Cristiano Coccanari

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