Milano, 11 giu – Un marchio in crescita, sbarcato da noi 14 anni fa, che macina utili in tutto il mondo, belpaese compreso e medita piani di espansione della propria attività. Stiamo parlando di H&M, colosso svedese dell’abbigliamento che nonostante numeri in continuo sviluppo ha di recente annunciato l’avvio di una procedura di licenziamento collettivo per 89 dipendenti.
A chiudere sarà il primo negozio aperto in Italia, l’H&M di San Babila, insieme ai punti vendita di porta Venezia (sempre a Milano), Cremona e Mestre. Crisi aziendale? Tutt’altro, visto che almeno nel capoluogo meneghino sono appena stati aperti due nuovi punti vendita. Lecito sarebbe stato, almeno per i dipendenti lombardi, attendersi un trasferimento nelle nuove sedi. E invece no, perché ai tempi del Jobs Act il contratto a tempo indeterminato è, giusto per restare in tema col settore, diventato fuori moda. Meglio forme più atipiche, come il contratto a chiamata, al quale H&M sta facendo “un ricorso spropositato”, denuncia Michele Tamburrelli della Uil Tucs di Milano.
Il perché della decisione di un’azienda in salute, che ha chiuso il 2016 con 756 milioni di fatturato e 16 milioni di utili, è presto detto: “Mentre licenziano noi – spiega Francesco, nome di fantasia, all’Adnkronos – a tempo indeterminato, cercano di assumere altre persone con contratti flessibili. Lo abbiamo scoperto dal giornalino cartaceo aziendale che, mentre annunciavano il licenziamento e aprivano un maxistore davanti al nostro, cercavano anche nuove persone da impiegare con contratti precari e meno onerosi rispetto ai nostri“. In altre parole, H&M punta a sostituire chi ha contratti “standard” e “vecchi” con altri lavoratori, messi in diretta e impietosa concorrenza, ai quali proporrà accordi meno onerosi per l’azienda e, ovviamente, più leggeri in busta paga. Il tutto a discapito dei primi, ai quali non è nemmeno concesso far valere alcun potere contrattuale visto che, con la disoccupazione in doppia cifra, i secondi fanno già la fila per entrare. Benvenuti nell’epoca delle “tutele crescenti” (per chi?).
Filippo Burla