Roma, 8 giu – In questi giorni il Golfo Persico è sconquassato da esplosioni diplomatiche e non che non si vedevano dai tempi delle Primavere Arabe quando in Bahrein la ribellione sciita fu soffocata nel sangue della repressione. Prima l’Arabia Saudita ha additato il Qatar come un nemico finanziatore dei terroristi, in rapida successione sono arrivati gli attentati di Teheran, che hanno provato a colpire il cuore politico e religioso del Paese (il Parlamento ed il mausoleo di Khomeini). Ma cosa sta succedendo nel Golfo?
La dialettica è tornata agli anni ’80 quando Iran e Iraq si affrontavano in una sanguinosa guerra che si risolse in una vittoria di Pirro per l’Iraq, ma questa volta ad affrontarsi sono Arabia Saudita, Iran e Qatar. Per capire come si sia giunti a questa situazione occorre fare delle precisazioni. E’ chiaro a tutti che l’Iran sciita è “in guerra” con il fronte sunnita/wahabita capeggiato dall’Arabia Saudita e dalle petromonarchie del Golfo, ma per capire come il Qatar, sunnita, possa essere diventato l’alleato di Teheran, occorre fare un’analisi approfondita che guarda, manco a dirlo, alle fazioni integraliste islamiche. Il mondo musulmano sunnita infatti non è un blocco unitario: esiste una profonda frattura tra i Fratelli Musulmani, quelli che hanno fomentato le rivolte in nord Africa tra Egitto e Tunisia, e il wahabismo integralista che è rappresentato dall’Isis e al-Qaeda. Pertanto le stesse petromonarchie del Golfo si sono trovate divise nel supporto al terrorismo, con l’Arabia Saudita a sostenere l’Isis e le sue diramazioni ed il Qatar a sostenere i Fratelli Musulmani. Doha infatti, durante le Primavere Arabe, ha sostenuto la Fratellanza in Egitto con circa 400 milioni di dollari e ne ha promessi 10 miliardi una volta che la situazione si fosse normalizzata, ma sappiamo tutti com’è andata a finire: al-Sisi, laico, è al potere e per tutta risposta Il Cairo ha immediatamente condannato Doha per il suo supporto al terrorismo fiancheggiando, altra strana alleanza, Riad e Abu Dhabi. Meno strano è vedere l’Egitto insieme agli Emirati Arabi Uniti, in considerazione del fatto che le due nazioni stanno aiutando il generale Haftar in Libia ad avere ragione delle milizie islamiche (e di quelle del Governo di Unità Nazionale), ma questo esula un po’ dalla nostra trattazione.
Questa frattura, che sino ad oggi era nascosta in seno al Gcc (Gulf Cooperation Council), è stata esacerbata ed esposta dal discorso di Trump a Riad di qualche giorno fa, in cui invitava i maggiori Stati del Golfo a cessare ogni attività di finanziamento al terrorismo e soprattutto indicava in Teheran un nemico da arginare in modo da ricompattare il fronte sunnita. Mossa che de facto non è riuscita a Washington (Tillerson invitava i contendenti a “restare uniti”) dato che Riad, forse per compiacere l’alleato di oltre Atlantico e per evitare di chiudere i rubinetti a certe frange integraliste attive in mezzo mondo, ha deciso di spaccare il fronte sunnita mettendo Doha nella “black list” e spingendola nelle braccia di Teheran. A poche ore dalle dichiarazioni, pretestuose, di Riad, infatti, sono cominciati strani voli tra l’Iran ed il Qatar con transponder che si accendono ad intermittenza e piani di volo non dichiarati. Riteniamo inoltre che un fattore chiave nella vicenda sia la recente scoperta di un giacimento giant di gas naturale nell’offshore iraniano: il giacimento, ancora in fase di valutazione estensionale (quella che tecnicamente viene definita fase appraisal) sarà in grado, insieme al South Pars/North Field condiviso tra Iran e Qatar e già in sfruttamento, di dare a Teheran la possibilità di diventare il più grande esportatore di questa risorsa previa implementazione delle sue capacità di liquefare il gas per il trasporto via metaniera, ed in questo senso il Qatar, che rappresenta uno dei più grandi esportatori di LNG al mondo, può venire in soccorso degli Ayatollah, eventualità che è inaccettabile per Riad, e forse anche per Washington.
Questo strano dedalo di alleanze e inimicizie si risolve quindi sia sul piano energetico (il gas) sia su quello “religioso” (dicotomia Fratellanza Musulmana – Isis) e spiega cosa sta succedendo nel Golfo in queste ore. La situazione comunque resta molto tesa, con attori terzi che entrano, o vorrebbero entrare, in gioco: la Turchia ha espresso la volontà di mandare truppe (e carri) a Doha in funzione di difesa. Fintanto che, però, gli Stati Uniti (ed il Regno Unito) avranno una importante base aerea, logistica e di comunicazioni in Qatar, la al-Udeid Air Base, l’eventualità di un attacco al piccolo emirato da parte di Riad ci sembra molto lontana. Diverso è il caso iraniano: essendo il nemico comune di Riad e Washington non è escluso che i Saud decidano di porre fine a certi “strani voli” per Doha e di passare da una guerra per procura, che si risolve in attentati da una parte e sostegno ai ribelli Houthi dall’altra, ad una guerra aperta; eventualità che potrebbe innescare una spirale incontrollabile considerate certe alleanze internazionali. E Mosca? Per ora tace di un assordante silenzio.
Paolo Mauri