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Flop Europa League: Italia sempre più periferia del calcio

by Rolando Mancini
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mareRoma, 21 mar – Alla fine ne è rimasta soltanto una. Delle sei squadre italiane impegnate in questa stagione nelle competizioni europee solamente la Juventus è ancora in corsa. Una soddisfazione a metà per il club bianconero, dato che società e squadra ambivano ad andare avanti nell’altra competizione europea, quella Champions League che non vede una squadra italiana protagonista dai tempi dell’Inter del triplete. Stagione 2009-2010.

Sicuramente non sarà felice, neanche a metà, Aurelio De Laurentiis che chiedeva a inizio stagione a Benitez un “Napoli più europeo” e che ora si ritrova, dopo aver speso 100 milioni di Euro sul mercato, a non disputare neppure i quarti di finale di Europa League.

A questo punto la domanda sorge spontanea, qual è il problema del nostro calcio?

Innanzitutto tecnico. Prendiamo alcuni dei top player delle maggiori società italiane: Callejon, Higuain per il Napoli; Balotelli, Kakà per il Milan; Tevez per la Juve; Gervinho per la Roma; Gomez per la Fiorentina. Nessuno di questi calciatori giocava titolare nella squadra di provenienza. Erano riserve, ottime riserve per carità, ma comunque giocatori considerati un gradino sotto ai titolari. In Italia si comprano le riserve degli altri campionati, poi qualche volta si riesce a rigenerare un Tevez (che comunque in Europa non ha segnato nemmeno una rete) altre volte si garantisce una pensione a un Kakà ma in ogni caso non si ha la forza economica per competere a livello internazionale. Sul perché si potrebbero aprire parentesi infinite: gli stadi di proprietà, la tassazione, i diritti tv e chi più ne ha più ne metta, ma  prima di questo, il problema sembra anche essere tattico. Se vediamo come giocano le otto squadre che si sono qualificate alla fase finale della Champions notiamo che schierano una difesa a quattro, ovvero i due centrali difensivi affrontano a uomo gli attaccanti della squadra avversaria, mentre la Juve gioca a tre dietro per non correre il rischio di trovarsi ad affrontare l’avversario nell’uno contro uno.

Il gap con le altre squadre europee non riguarda comunque solamente i top club, anche le squadre di media fascia italiane non sono all’altezza delle pari grado europee. Il Valencia, il Siviglia, il Lione in questo momento sembrano avere qualcosa in più, soprattutto a livello di mentalità europea, rispetto alle nostre squadre che da sempre, anche in periodi ben più fortunati del nostro calcio, non fanno bella figura nelle competizioni europee minori. Un problema anche di mentalità dunque.

 

mmmIl fatto, va detto chiaramente, è che per essere competitivi a livello internazionale ormai bisogna affidarsi a qualche grande magnate o affidarsi a un sistema politico che tutela in modo fortissimo i club nazionali (è il caso spagnolo), ma non possiamo dire che questo sia il modello di calcio che desidera chi ama veramente questo gioco. Un calcio sempre più apolide e internazionale dove la figura del presidente-tifoso è cosa sempre più rara (prima era cosa normale: Sensi, Moratti, Cecchi Gori ecc.), dove si privilegiano gli spettatori internazionali a scapito di chi va allo stadio (in Inghilterra il lunch-match è stata un’imposizione asiatica), dove si cambiano gli stemmi per motivi pubblicitari (Roma, Psg) rischia di diventare uno sport senz’anima.  Ma se dobbiamo agire sul reale e mettere un attimo da parte il romanticismo, per ridare credibilità al sistema calcio servirebbero delle regole. Ne vengono in mente due, una a livello internazionale ovvero fissare un tetto per gli ingaggi, e una a livello nazionale ovvero distribuire in parti uguali i proventi dai diritti tv. Ne guadagnerebbero lo spettacolo e la competenza.

Rolando Mancini

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