Roma, 13 mag – “I may not be Donald Trump now, but just you wait; if I don’t make it, my children will” (Posso non essere Donald Trump ora, ma aspettate; se non ci riesco i miei figli ci riusciranno). Parole di un giovane neocon yankee? Di un rampante appartenente ai Tea Party di Wall Street? No, parole di Barack Obama, ex Presidente degli Stati Uniti e premionobelperlapacesullafiducia.
Impossibile? A riferirlo è Vice nella sua versione anglosassone che prende spunto a sua volta dalla recensione, stroncante e impietosa, fatta dal NY Times della biografia del “Presidente del mondo intero” (cit. Concita De Gregorio). La biografia, intitolata Rising star: the making of Barack Obama, è un mattone di 1460 pagine, come scrive il NYT, “più estenuanti che esaustive” (“a bloated, tedious and… ill-considered book that is in desperate need of editing, and way more exhausting than exhaustive”) che narra della filosofia politica del primo Presidente degli Usa nero e, sebbene la lettura ne risulti alquanto difficile per lo stile dell’autore, è utile per fornire un quadro di come Obama abbia potuto vincere le elezioni, due volte, e per incasellare meglio il personaggio più influente, spesso per mero costrutto di propaganda giornalistica, di questo inizio di secolo.
Ma torniamo a bomba: nel 1991, come si legge, quando Obama si stava per laureare in legge ad Harvard, scrisse un documento insieme al suo amico Robert Fisher, Race and rights rethorics (Retorica dei diritti e della razza), in cui si affermava che, sebbene la retorica dei diritti civili degli anni ’60 sia stata un veicolo per la liberazione dei neri, alla realtà dei fatti abbia impedito, piuttosto che facilitato, il raggiungimento del potere da parte degli stessi. Si legge infatti “[Gli americani hanno] un continuo impegno normativo agli ideali delle libertà individuali e della mobilità sociale, valori che si estendono molto oltre il problema della razza nella mente degli amricani. La profondità di questa dedizione può essere sommariamente respinta così come l’infondato ottimismo dell’americano medio. Posso non essere Donald Trump ora, ma aspettate; se non ci riesco, i miei figli ci riusciranno”. Il documento aggiunge che i neri “Dovrebbero staccarsi dalla retorica dei diritti per spostarsi verso un linguaggio delle opportunità”. Non esattamente quanto successo durante la sua amministrazione a ben vedere, con sommosse razziali e vere e proprie “cacce al bianco”, soprattutto se poliziotto, in più di una metropoli.
Un giovane Obama che poneva l’attenzione, dunque, sul sogno americano, sul riscatto sociale, e quindi sul “fare soldi” proprio come Donald Trump, portato ad esempio dall’ex Presidente. Sicuramente questo atteggiamento, questa filosofia, è stata alla base della sua vittoria nei due mandati elettorali sebbene, a conti fatti, Obama abbia disatteso le speranze non solamente dei neri, con la comunità afroamericana che lo accusa di fallimento, ma anche di tutta una nazione che oggi, si ritrova fondamentalmente più povera di prima e in via di emarginazione nel consesso mondiale. Questo è uno dei fattori che ha portato alla vittoria di Trump (America first) anche se, lo ricordiamo, un’America forte rappresenta un ostacolo per l’Europa e per i giusti sentimenti di riscatto delle sue componenti identitarie che vorrebbero affrancarsi da certi cordoni atlantici che strangolano ogni anelito di “autonomia”, ma dobbiamo considerare che le due amministrazioni Obama, nonostante la politica di disimpegno militare affiancata dall’appoggio finanziario (e di armi) a tutte quei movimenti politici sovversivi sparsi per il mondo, hanno prodotto in 8 anni una destabilizzazione tale che è paragonabile a quella creata da G.W. Bush con l’intervento in Iraq. Pertanto il fil rouge, la chiave di lettura, per noi europei ed italiani deve essere questa: oltre i Democratici ed i Repubblicani, oltre Obama e Trump, c’è il sogno Americano, l’America first, il “Tycoon” autodidatta che, per realizzarsi, ha bisogno che il resto del mondo sia, più o meno, asservito agli interessi di una sola nazione indipendentemente dall’esponente del partito che la governa: gli Stati Uniti d’America.
Vittorio Sasso