Milano, 12 mar – I numeri non mentono mai. E sono impietosi. A un anno dalla laurea, il tasso di disoccupazione è del 26,5 % per chi ha preso un titolo di primo livello e del 22,9 % per chi ha una laurea specialistica in tasca. Nel 2007 era disoccupato l’11,2 % dei laureati triennali e il 10,8 % dei magistrali. E a sorpresa, a lungo termine il titolo quinquennale non è maggior garanzia di trovare lavoro. Nel 2013, tra chi si è laureato cinque anni prima (nel 2008), è occupato l’88,6 per cento di chi ha fatto la triennale, contro l’87,1 per cento di chi ha preso una laurea magistrale.
Il problema è anche un altro: diverse scelte discutibili hanno fatto si che la quota di giovani che abbandonano gli studi superiori sia la più alta della UE a 27. Secondo Loredana Garlati, prorettore all’orientamento e al «job placement» dell’università di Milano-Bicocca, a margine del terzo Open Day annuale per le matricole e i genitori, «non esiste una scelta giusta, ma quella che va bene per il singolo. Agli incontri sull’orientamento si sentono frasi come: “Lo convinca lei, per favore!”. Oppure c’è chi cerca conferme alle proprie opinioni dicendo: “È vero che questa facoltà è meglio dell’altra?”. Durante l’ultimo Open Day, però, c’è stato anche chi ha ammesso di aver sbagliato, purtroppo questa è una delle cause che portano a rendere più elevato il tasso di abbandono in un Paese, come l’Italia, in cui già è su livelli troppo alti».
«Ormai si viene chiamati a partecipare agli Open Day fin dall’asilo – prosegue Garlati -. E il dramma è che madri e padri non sembrano aver capito quando è il momento di fermarsi, e si presentano anche all’università. Vogliamo fare la scelta giusta, affermano i genitori (non i ragazzi, sic!), quella che ci darà tutte le garanzie”.
Secondo un documento del Servizio di Consulenza Psicosociale per l’Orientamento dell’ Ateneo milanese, «alcuni genitori pongono domande al posto dei figli, che spesso tacciono di fianco ai genitori, oppure intervenendo a specificare quanto i figli abbiano già detto, sostenendo in maniera indiretta che i figli non siano in grado di occuparsi pienamente di ciò che riguarda il proprio orientamento». Un genitore su tre telefona al posto dei figli per chiedere informazioni, uno su quattro accompagna i figli ai colloqui sull’orientamento. Il 35% dei genitori immediatamente prima o subito dopo le immatricolazioni scrivono via mail o chiamano direttamente i servizi fingendo di essere i figli «per chiedere informazioni e rassicurazioni».
Non serve un trattato di psicologia per capire che una generazione di “bamboccioni”, o NEET secondo i dettami del terzo millennio, nasce anche da questo, non solo dalla crisi economica. Nasce da una crisi sociale fin dai rapporti familiari, con genitori-elicottero che sorvolano sulle scelte e sulle vite dei loro figli anche quando sono grandi. Ma anche i ragazzi devono imparare a ribellarsi e prendersi le proprie responsabilità. La coscienza di una nazione si forma anche con una gioventù forte e consapevole del proprio ruolo e delle proprie forze, imparando a partire dalle mura domestiche e poi nel mondo ad essere autonomi e indipendenti.
Gaetano Saraniti