Sangin, 24 mar – Nella giornata di ieri le milizie talebane hanno conquistato la città chiave di Sangin, nella provincia di Helmand situata nell’Afghanistan centro meridionale. Dopo una battaglia, ma sarebbe più giusto definirlo assedio, durata più di un anno le forze dell’Esercito Afghano, responsabili della sicurezza del distretto dopo il passaggio di consegne dalle truppe Nato avvenuto nel 2013, hanno effettuato quella che è stata definita una “ritirata strategica”.
Un portavoce del governatore di Helmand ha ammesso che la caserma di polizia ed il quartier generale del governatore ora sono in mano ai Talebani. Talebani che controllavano già diversi settori del distretto di Helmand, ma la caduta di Sangin, città simbolo per la sua importanza strategica, sottolinea la difficoltà dell’Esercito Afghano e dei suoi alleati occidentali nel mantenere la sicurezza della regione: la città infatti, oltre ad essere crocevia e grosso centro di produzione per l’oppio, è stata teatro degli scontri più intesi della campagna militare in Afghanistan.
Sottoposta ad assedio diverse volte, prima con gli inglesi (2006 – 2007) poi con gli americani (2010 – 2014), è stata definita dai militari inglesi “Stalingrado” appunto per l’asprezza dei combattimenti: qui infatti sono caduti complessivamente un quarto dei 456 soldati inglesi morti in Afghanistan.
Ora, con la ritirata delle truppe afghane, si aprono due differenti scenari: il primo vede il tentativo di riconquista della città col supporto aereo e con l’aiuto delle Forze Speciali Usa, il secondo vede l’abbandono di Sangin per concentrare le forze a difesa della capitale della provincia, Lashkar Gah, come è stato già messo in pratica per alcuni centri di insurrezione di Helmand. Secondo i primi rapporti le forze alleate starebbero già effettuando i primi bombardamenti sulla città occupata ma il portavoce dell’Esercito Afghano ha solo confermato la ritirata delle truppe nelle guarnigioni principali della provincia. Certamente non è un segnale positivo per Resolut Support e per il Governo afghano, che mostra ancora tutta la sua debolezza ed incapacità nel mantenere il controllo delle regioni rurali più remote.
Paolo Mauri