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Febbraio: la necessità romana di purificarsi, senza paura di rimanere nudi

by La Redazione
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febbraio purificazione nudiRoma, 4 feb – L’etimo di febbraio è Februarius, a sua volta derivante da februum, che Varrone traduce “purgamentum”, e dal verbo februare  ovvero “purificare”. Ricordiamo che il mese di febbraio fu istituito a seguito della riforma giuliana, ma che in realtà i giorni in esso compresi facevano parte, secondo la ripartizione in dieci mesi, dell’ultimo mese dell’anno. Febbraio era dunque dedicato principalmente alla purificazione:  Ovidio, nei Fasti, descrive due episodi in relazione a ciò. Il primo è quello della ninfa Callisto (nome che in greco significa “la bellissima”), figlia del re d’Arcadia Licaone (in greco lykos = “lupo”), fondatore del culto di Zeus Liceo (Giove Lupo). Callisto faceva parte del seguito della Dea Diana e quindi, come tutte le sue compagne, aveva fatto voto di rimanere sempre vergine. Zeus un giorno la vide e s’innamorò di lei. Sotto le spoglie di Apollo o di Artemide (poiché Callisto fuggiva tutti gli uomini) si unì a lei e la rese gravida. Quando Callisto era incinta, Artemide e le sue compagne decisero di bagnarsi a una fonte. La ninfa dovette svestirsi e la sua situazione fu svelata. Incollerita, Artemide la cacciò e la trasformò in orsa.

Il mito greco ci racconta anche un altro episodio legato a Diana e alla nudità: nel corso di una battuta di caccia, Atteone sorprese Diana mentre faceva il bagno insieme alle sue compagne. La dea trasformò il giovane in un cervo spruzzandogli dell’acqua sul viso. Atteone si accorse della sua trasformazione solo quando, scappando, giunse a una fonte, dove poté specchiarsi nell’acqua. Intanto il cacciatore fu raggiunto dalla muta dei suoi 50 cani, resi furiosi da Artemide, che, non riconoscendolo, sbranarono il loro vecchio padrone. Ma anche il mito romano tramanda altri episodi legati alla nudità e alla celebrazione dei Lupercalia il 15 di febbraio. Ovidio racconta che il Dio Pan (identificato poi con Fauno dai romani) rifuggiva dalle vesti e amava mostrarsi con le membra scoperte. In particolare, in un’occasione, aveva visto Ercole, accompagnato da una bellissima fanciulla, ritirarsi in una grotta per la notte. Ercole aveva ricoperto il corpo della giovane con la sua famosa pelle di leone per ripararla dal freddo, ma quando Fauno durante la notte, nel buio, si era avvicinato alla coppia, si era ritratto terrorizzato proprio dal corpo ricoperto dal manto leonino e si era approcciato, nel suo fulgore priapico, all’altra figura nella grotta, sperando di trovare la ragazza. Purtroppo per lui però, questi era Ercole che lo scagliò lontano non appena sentì il contatto bramoso di Fauno.

Ma, racconta sempre Ovidio in altro episodio, anche Romolo e Remo, mentre riscaldavano i loro corpi nudi al tiepido sole di febbraio, allenandosi alla sopportazione delle fatiche, furono chiamati a rincorrere dei predoni che avevano derubato i compagni dei gemelli. Questi subito si lanciarono all’inseguimento, senza avere il tempo di rivestirsi. Fu Remo insieme ai suoi amici Fabii a riprendere per primi i ladri e il bottino, tornando al campo prima di Romolo e dei suoi amici Quintili. Tempo dopo, secondo la leggenda, quando Romolo era già Re, vi sarebbe stato un prolungato periodo di sterilità nelle donne. Uomini e donne si recarono perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell’Esquilino, e qui si prostrarono in atteggiamento di supplica. Attraverso lo stormire delle fronde, la Dea rispose, sgomentando le donne, che dovevano essere penetrate da un sacro caprone. Un augure etrusco interpretò l’oracolo nel giusto senso, sacrificando un capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle donne: dopo dieci mesi lunari le donne partorirono. Da queste origini derivavano gli elementi caratterizzanti la festa, celebrata da giovani sacerdoti chiamati Luperci, seminudi, con le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia; soltanto intorno alle anche portavano una pelle di capra ricavata dalle vittime sacrificate nel Lupercale. I luperci dovevano poi correre intorno al colle, saltando e colpendo con le fruste di pelle di capra sia il suolo, per favorirne la fertilità, sia chiunque incontrassero, ed in particolare le donne per donare loro la fecondità.

Tutti questi miti rimandano dunque alla necessità di purificarsi in questo periodo, senza avere paura di mostrarsi nella piena nudità, ovvero nel nostro essere più profondo. Spesso gli uomini, per nascondere le proprie debolezze, si costruiscono delle vere e proprie maschere che mostrano una finta esteriorità fatta di forza. Il mondo classico, invece, attraverso i suoi miti indica che bisogna affrontare le proprie lacune, iniziando proprio dal non nasconderle. Allora potrà sorgere una civiltà permeata da una forza effettiva, ricollegata anche agli animali totemici ed alle qualità che questi rappresentano. In ultimo, va ricordato che Giacomo Boni, in occasione del primo anniversario della marcia su Roma, volle ripristinare proprio le corse dei lupercalia, a rinsaldare quel legame del fascismo con l’antica Roma e i suoi culti primigenii.

Marzio Boni

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