Roma, 31 gen – Le multinazionali da una parte e, ovviamente, la sinistra dall’altra. No, anzi no. Multinazionali e sinistra, da quella estrema a quella moderata, per l’ennesima volta, sono sulla stessa barricata. Tanto che, ieri, “Repubblica”, titolava significativamente: “La corporate Usa si ribella a Trump: Starbucks, Google e Airbnb in favore dei rifugiati“. E se Google ha stanziato un fondo di quattro milioni di dollari per i rifugiati , se il fondatore di Facebook ha già detto nei giorni scorsi la sua contro Trump, ecco che Starbucks, il colosso americano del caffè, ha appena annunciato un piano di assunzione destinato a ben 10mila rifugiati in cinque anni (con buona pace dei cittadini e degli Stati ospitanti). Un piano, ha spiegato l’amministratore delegato Howard Schultz, che verrà attuato in tutti i 75 paesi in cui la multinazionale è presente, a cominciare ovviamente dagli Usa, dove l’azienda è nata. “Sto ascoltando l’allarme – ha spiegato ai suoi dipendenti – che voi tutti state sollevando per la civiltà e i diritti umani che finora davamo per garantiti e che sono sotto attacco”. Ecco perché, ha aggiunto, ha anche deciso di sostenere i coltivatori di caffé messicani. Questo, peraltro, dopo che il boicottaggio dei prodotti americani che veniva proposto in Messico aveva visto proprio nella sua catena uno dei simboli del made in Usa da colpire, il che la dice lunga su quanto i marchi, con molta probabilità, approfittino della situazione anche per costruirsi una reputazione, cosa che per un brand è essenziale.
Anche Airbnb, del resto, la società che fa da piattaforma in tutto il mondo per quanto riguarda gli affitti a breve termine, ha dichiarato di voler mettere a disposizione gratuitamente alloggi per aiutare i rifugiati. Contro il neopresidente, infine, anche Uber, chiaramente tutta Hollywood e, ovviamente, anche la Nike: “Nike crede in un mondo dove tutti possono celebrare il potere della diversità. I nostri valori sono minacciati dal recente decreto. E’ una politica che non sosteniamo”. “Siamo contro ogni forma di discriminazione”, ha spiegato Mark Parker, “Diamo il nostro meglio quando riconosciamo il valore della nostra varia e diversa comunità”. Non pervenuti accenni allo sfruttamento della manodopera proprio nei paesi in cui questa costa meno e del quale spesso l’azienda è stata accusata. Ma il dubbio che sia l’interesse, più che il cuore, a parlare resta comunque forte.
Nel frattempo, a parte la bufala sul veto nei confronti dei musulmani diffusa su scala mondiale e la questione del provvedimento fotocopia portato avanti dall’ex presidente Obama nel 2011, è venuto fuori anche un video in cui il predecessore di Obama, Bill Clinton, consorte della candidata democratica sconfitta, Hillary Clinton, si godeva una indimenticabile standing ovation proprio grazie a frasi come queste: “Siamo una nazione di immigrati, ma anche di leggi. La nostra nazione è molto disturbata dall’alto numero di immigrati clandestini che entrano nel nostro paese, rubano il lavoro ai cittadini o agli immigrati regolari. Ecco perché stiamo raddoppiano il numero dei poliziotti di frontiera, deportando un numero di immigrati più alto che mai prima d’ora, colpendo le assunzioni illegali, bloccando i benefit ai clandestini e faremo di più per velocizzare l’espulsione degli immigrati che commettono reati. E’ sbagliato e controproducente per una nazione di immigrati permettere l’abuso delle nostre leggi sull’immigrazione che si è verificato negli ultimi anni”.
https://www.youtube.com/watch?v=4wxMTh_UzHM
Anche in quel caso, come in occasione del provvedimento di Obama, non si ricorda niente che possa assomigliare alle proteste mediaticamente coordinate di questi giorni contro Trump. Un qualcosa che è talmente rilevante da rendere secondario perfino lo stesso Trump: poco importa che lui e Clinton abbiano detto la stessa cosa ma le reazioni siano state così diverse, il punto politicamente importante è che questo “tiro al bersaglio”, se anche nascondesse il solito vecchio presidente Usa allineato e nonostante tutto ciò nasconde pur sempre una lotta tra poteri, sta portando alla ribalta parole d’ordine finora impronunciabili.
Tanto che a sollevarsi in modo forte è la voce della comunità ebraica internazionale, che non si è fatta passare sotto il naso la coincidenza della data degli ordini esecutivi con il Giorno della Memoria. E non solo è saltato fuori l’ormai consueto paragone con Hitler ma, nella confusione, si è pensato anche di colpire Trump ricordando un episodio della storia americana avvenuto proprio quando l’America era lì lì per combattere il Fhurer, il che restituisce un sillogismo politico abbastanza contraddittorio. “Gli Usa ci hanno liberato dal nazismo ed hanno salvato gli ebrei”: questa è la classica storia che ci viene proposta. Ma oggi che il presidente è Trump vale la pena anche capovolgere la prospettiva e venire a raccontarci che, dopo tutto, anche gli Stati Uniti sono stati cattivi e che non si deve dimenticare neanche questo, per non diventare come lui, come i suoi elettori. “Le persone dicono sempre che, se ci scordiamo della storia, siamo condannati a ripetere gli stessi errori. Questo è uno di quei momenti in cui la storia ci dà l’opportunità di ragionare sul presente. Quando si dice ‘mai più’ o ‘noi ricordiamo’, è importante farlo veramente”. Questo è quanto ha dichiarato Russel Neiss, attivista ebreo che ha creato l’account Twitter “St. Loius Manifest” per ricordare le 937 persone, per la gran parte ebree, che il 13 maggio del 1939 salparono da Amburgo per lasciare il Terzo Reich e trovare rifugio oltreoceano. Vogliono raggiungere Cuba (che ha già ospitato 2500 rifugiati) ma, una volta arrivati sulle coste cubane, non trovano l’accoglienza sperata: riescono a sbarcare soltanto in 28, gli altri devono restare sulla nave e la nave è costretta ad abbandonare le acque territoriali cubane.
Arrivati sulle coste statunitensi della Florida, però, lo scenario non cambia: “i passeggeri dovranno iscriversi e aspettare il loro turno nella lista di attesa per ottenere il visto”. Questa la risposta del Dipartimento di Stato americano dell’allora presidente Franklin D. Roosevelt. E, così, la St. Louis, con Gustav Schroeder al timone, torna in Europa per trovare accoglienza in Gran Bretagna, Olanda, Belgio e Francia. Fabio Greco, sul sito dell’Agi, ricorda addirittura il caso della tristemente nota Anna Frank, la cui famiglia venne rifiutata per ben due volte dagli Usa, prima nel 1938 e poi nel 1941. Fermati snche loro dalle politiche immigrazioniste americane. “Sono – a parte il dato sull’esistenza di una guerra mondiale, che oggi non è in corso – le stesse motivazioni dell’amministrazione Trump, il cui ordine esecutivo contenente il bando per i rifugiati trova l’opposizione di diverse organizzazioni ebraiche americane tra Hias, che si occupa dei profughi e che ha raccolto il sostegno di 1.500 rabbini per la causa di tutti i rifugiati, di qualunque fede religiosa essi siano”, scrive Greco.
Ma tutto ciò, retorica a parte, non dimostra soltanto che le frontiere ed i confini non sono certo un’invenzione di Trump o dei fascisti?
Emmanuel Raffaele