Roma, 18 feb – Rai 3 ha mandato in onda in prima serata venerdì 14 e sabato 15 febbraio la miniserie della HBO “Burning Bush” che narra il sacrificio dello studente ceco Jan Palach, il patriota che si tolse la vita dandosi fuoco per protestare contro l’occupazione militare sovietica della sua Nazione. Il titolo italiano scelto per la serie prodotta nella Repubblica Ceca è il ben più evocativo: “Il fuoco di Praga”, perché in effetti la morte di Jan Palach fu la scintilla grazie alla quale milioni di cuori iniziarono ad ardere in tutta la Repubblica socialista Cecoslovacca.
Il 5 gennaio 1968 venne eletto segretario del Partito Comunista cecoslovacca il riformista Alexander Dubcek, ansioso di guidare tutta la Repubblica cecoslovacca fuori dall’asfissiante giogo sovietico.
Dubcek allentò la censura e garantì maggiori libertà individuali, ma ciò che spaventava maggiormente il Comitato centrale del PCUS di Mosca era la voglia della Repubblica ceca di affrancarsi dall’area di influenza geopolitica sovietica.
Il riformismo ceco venne fermato dall’Armata Rossa e dagli altri alleati del Comintern, che occuparono militarmente la Repubblica cecoslovacca il 20 agosto 1968.
L’occupazione militare sovietica provocò una profondissima ferita nella società ceca. Studenti e lavoratori si schierarono apertamente contro l’occupazione militare, mentre il Partito comunista ceco, epurato degli elementi riformisti, veniva trasformato in una marionetta nelle mani dei russi.
Con il passare dei mesi si acuì il distacco tra la classe dirigente e la nazione. Il fulcro dei sentimenti anti-sovietici era naturalmente Praga, brillante centro culturale di una mitteleuropa che i patti di Yalta avevano relegato in secondo piano.
La serie tv scritta e diretta da Agnieszka Holland inizia con il giovane Jan, promettente studente di filosofia, che nella centrale piazza Vinceslao si cosparge il corpo di benzina e senza alcuna esitazione si dà fuoco.
Jan divenne subito il simbolo della lotta antisovietica. Le associazioni studentesche, le più coinvolte nell’opposizione ai sovietici, né celebrano il martirio con volantinaggi e tentativi di scioperi generali, che fallirono a causa del controllo del Partito sulle associazioni sindacali.
Il governo Ceco si trovò di fatto impreparato dinnanzi alla protesta di Jan Palach. Da un lato, infatti, le autorità non potevano prendere una netta posizione contro il giovane patriota, dall’altro lato il padrone russo chiedeva l’utilizzo del pugno di ferro contro ogni forma di manifestazione anti-sovietica.
Dopo il funerale di Jan Palach, a cui parteciparono spontaneamente 600mila persone, i funzionari del Partito iniziarono però a comprendere quanto fosse radicato il sentimento anti-comunista a Praga: milioni di donne e uomini vedevano nel sacrificio di Jan il simbolo stesso della loro nazione e della lotta per la loro libertà.
La bella sceneggiatura della HBO permette di cogliere tutte le contraddizioni dei regimi comunisti satelliti di Mosca, tutte le piccole meschinità dei burocrati comunisti che in ogni modo tentavano di reprimere i moti studenteschi e nazionalisti.
Maestri nella manipolazione delle informazioni, i membri del Comitato centrale del Partito comunista e gli ufficiali della polizia politica iniziarono a screditare la figura di Jan Palach, dipingendo la “fiaccola n. 1” , come si auto definì Palach, quale “agente provocatore al soldo dell’occidente ed anche instabile mentalmente.”
Frasi diffamatorie che ebbero quale unico effetto quello di scavare un solco ancora più profondo tra il popolo ceco ed il Partito comunista. La famiglia dello studente profondamente scossa dalla campagna diffamatoria condotta dalle autorità decise di intraprendere le vie legali, facendosi assistere dall’avvocato Dagmar Bunescova (interpretata nella serie tv da Tana Pauhofa).
La famiglia di Palach ed il brillante avvocato Brunescova, divennero così oggetto delle morbose attenzioni della polizia politica, divenendo le vittime di una vera e propria persecuzione, non solo psicologica, condotta da un regime agonizzante.
Il nemico più pericoloso per il Partito comunista ceco non erano però gli attivisti, gli studenti, gli avvocati assetati di verità e giustizia. Il nemico più pericoloso rimaneva Jan Palac: il mito del martire erodeva le fondamenta del regime, diffondeva tra i politici il terrore dell’emulazione del gesto eclatante e scavava in profondità nelle coscienze dei lavoratori.
La tomba del giovane studente divenne da subito meta di pellegrinaggio: centinaia di giovani cecoslovacchi accendevano ogni giorno dei ceri sul suo sepolcro affinché la fiamma della libertà potesse sempre ardere vicino al nome di Jan Palach.
La paura dei comunisti ed il loro rancore, spinsero le autorità all’infamia della trafugazione delle spoglie di Jan. Di notte, la cassa che ospitava i resti mortali di Palach venne prelevata e arsa, ed i resti sottratti alla famiglia ed occultati.
L’occultamento delle sepolture per motivi di “ordine pubblico” è stato uno dei tratti distintivi dei regimi comunisti europei. Centinaia di oppositori venivano prima torturati, poi uccisi ed infine le loro spoglie gettate in fosse comuni cosicché i loro famigliari fossero privati della consolazione del marmo su cui piangere e ricordare il loro caro.
Ma forse, nelle democrazie occidentali la situazione non era (e non è) poi tanto diversa.
Federico Depetris