Roma, 27 dic – Le celebrazioni per i 70 anni dell’Msi – fondato il 26 dicembre 1946 nello studio del padre di Arturo Michelini, alla presenza di Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Biagio Pace e altri – avvengono in un momento piuttosto emblematico della storia della destra italiana. Come accade in Francia, Gran Bretagna, Spagna e altrove, infatti, l’assetto politico della nazione è ormai tripolare, dopo la folgorante e giù deludente ascesa dei grillini. Ma, in questo quadro, la destra svolge il ruolo di polo minore: alle prossime elezioni, quando mai ce le faranno fare, si prevede già un derby Pd-M5S. Come si è giunti a tanto in un Paese in cui la maggioranza dei cittadini non vota certo a sinistra? Come è finita la destra nell’irrilevanza più totale? Non solo: all’interno del centrodestra stesso, la partita per la leadership è tutta fra Berlusconi e Salvini, con incursioni di meteore alla Parisi, ma comunque tutta giocata fra personalità non provenienti dal mondo che fu missino. C’è Giorgia Meloni, certo, ma nessuno crede seriamente che possa aspirare alla leadership e fuori dal raccordo anulare la sua popolarità diventa inconsistente.
L’anniversario della fiamma tricolore, quindi, capita in un momento in cui quell’esperienza risulta del tutto priva di eredi in grado di ri-attualizzarla. Come è stato possibile? Qualcuno potrà essere tentato di trovare una spiegazione in una notizia di qualche settimana fa: quella che vuole la famosa casa di Montecarlo al centro di loschi traffici e l’ex leader della destra, già segretario dell’Msi e traghettatore dei fascisti al governo, dichiarare pubblicamente di essere “un coglione”, in quanto turlupinato dall’avvenente compagna. Una scena di rara indegnità, in effetti. È quindi tutto qui il motivo del fallimento della destra italiana? Gianfranco Fini come distruttore di tutto un mondo? C’è del vero, in questa analisi, nel senso che, semmai venisse organizzato un processo di Norimberga per i protagonisti della destra italiana, sicuramente l’ex presidente della Camera meriterebbe il centro del banco degli imputati. Accanto a lui, però, dovrebbero accomodarsi in molti, compresi tanti che, per misteriosi motivi, hanno scampato il disprezzo della base militante. Il fallimento, insomma, è stato corale, collettivo, e politico. Il che ci porta a interrogarci sulla questione da cui siamo partiti: il 70ennale del Msi e il suo lascito. Perché se di una mela marcia si è trattato, allora l’albero può essere salvato. Se è stato gran parte del raccolto a essere bacato, allora qualche domanda in più dobbiamo porcela.
Ora, sull’Msi circolando due versioni storiografiche, nel campo dell’ambiente che bene o male ne è stato l’erede: quella nostalgica, che fa del partito di Almirante una specie di eden a cui sarebbe auspicabile tornare prima possibile, e quella radicale, che fa di tutto il partito in blocco un monumento al compromesso, alla viltà e al tradimento. Si tratta, come è ovvio, di due versioni unilaterali, che prendono un pezzo di realtà e ne perdono un altro. Dopo il 1945, l’Msi è stato la casa comune dei fascisti superstiti. Il che, in alcuni casi, ha dato luogo a un focolare, a una comunità, a un avamposto. In altri, si è trattato del luogo in cui rinchiudere una gioventù ribelle affinché non facesse troppi danni in giro. Ma si tratta di una storia troppo complessa per essere liquidata in poche righe: una storia di generosità e tradimenti, di radicalità e compromesso, di coraggio e viltà, di sangue e carriere, ma tutto mescolato, gomito a gomito.
Resta l’impressione che l’Msi abbia dato il meglio di sé ai suoi margini: in certe figure di capi attivisti popolani e genuini scavalcati dai piccoli arrivisti di turno, in alcuni fermenti giovanili e avanguardisti sempre malvisti dalle alte gerarchie, in pochi esponenti coraggiosi e profondi messi all’angolo dalla più piatta burocrazia di partito. Di sicuro si è trattato dell’ultima esperienza politica che sia riuscita a parlare alle masse utilizzando un linguaggio che, ora strumentalmente, ora sinceramente, affondava le radici nel fascismo. Poi venne l’epoca liquida e anche la liquidazione dell’Msi. Come riportare il marmo in questa palude è tutto un altro paio di maniche e la nostalgia di Almirante di sicuro non aiuterà.
Adriano Scianca
4 comments
Nessun rimpianto, ma nessun rimorso, anche se molti hanno solo dato e pochi hanno solo preso. Tante battaglie, tanti errori, troppi morti e poca gloria. Se oggi però c’è ancora chi parla di socializzazione e di sovranità nazionale il merito è loro, di quelli che non si sono mai arresi. Cancelliamo pure nomi e cognomi degli infami, non nominiamoli nemmeno più. ONORE ai camerati del MSI.
Un naufragio del Movimento dovuto alla scelta sconsiderata di raccogliere voti nella destra democristiana dando vita ad Alleanza Nazionale prima. Poi la fusione con il partito di Berlusconi ha lasciato allo sbando e senza identità tanti di quei militanti che come me formati, nelle file della Giovane Italia e del Fronte della Gioventù ,con gli ideali di una società che avrebbe dovuto scegliere la terza via, quella della partecipazione agli utili. Avevamo costruito un movimento battaglia dopo battaglia facendone le spese personalmente con discriminazioni e morti nelle nostre file cercando di affermare la bontà delle nostre idee. Forse ancora non tutto è perduto. Ricompattiamo le file dando origine ad un unico movimento di vera destra con gli stessi ideali di una volta sempre più attuali con molta umiltà e senza protagonismi. W il MSI
Verissimo. Il MSI, nel cuore di ogni singolo membro della sua “classe dirigente”, è stato un “un monumento al compromesso, alla viltà e al tradimento” al massimo nella misura dell’85-90%, non di più. 😀
Onore a tutti i camerati di ogni tempo!
L’Italia ci appartiene ed ha vitale bisogno di una destra vera e tradizionale. Il seme della destra esiste ed è ben radicato in Italia. Chi sente la chiamata sa’ che è il momento del coraggioso e ardito agire, chi può, deve!