Roma, 8 dic – Con le dimissioni di Matteo Renzi la domanda sorge quasi spontanea: arriverà o no la Troika? Non è retorica e nemmeno allarmismo, dato che il premier ha lasciato una situazione economica che, se per i conti pubblici non sembra offrire particolari preoccupazioni, tante invece ne dà dal lato della tenuta del sistema bancario, ancora tutta da dimostrare. E’ vero che il debito resta sempre alto ed il suo percorso di discesa è, finanziaria dopo finanziaria, costantemente rinviato, ma è altrettanto una verità che la vera crisi, non più assimilabile a quella dello spread che nel 2011 costò la poltrona a Berlusconi, è quella delle banche – alle prese con circa 200 miliardi di passività difficili da gestire – sulle quali, da tempo, si concentrano gli umori dei mercati.
Da qui il giallo. Secondo alcune indiscrezioni, il ministro dell’Economia pro-tempore Pier Carlo Padoan – accreditato da parte sua come fra i papabili per la successione all’ex sindaco di Firenze – avrebbe già pronta la richiesta di aiuto all’Esm, il fondo di stabilità europeo altrimenti noto come ‘Fondo salva-Stati’. Richiesta che avrebbe seguito il ‘suggerimento’ di Volker Wieland, consigliere economico della Merkel, secondo il quale l’Italia “dovrebbe chiedere un programma di aiuti all’Esm, coinvolgendo anche l’Fmi”, che “da un lato rappresenterebbe uno ‘scudo’ in caso di crisi debitoria in Italia e, dall’altro, Esm e Fmi assieme potrebbero esercitare le giuste pressioni per sbloccare le riforme”. Un commissariamento in piena regola quello chiesto dalla Germania, facendo perno proprio sul tema banche. Il problema si chiama Monte dei Paschi di Siena, ventre molle di un’impalcatura fragilissima.
Le opzioni sul tavolo per la banca più antica del mondo sono, al momento, tre: la (s)vendita all’estero, il bail in o un massiccio intervento pubblico. Posto che nessun investitore, forse neanche i più propensi al rischio estremo, comprerebbero un rottame e che l’idea di far pagare i correntisti sarebbe un suicidio politico, rimane ad oggi in piedi la sola terza ipotesi. Per perseguire la quale servono però miliardi freschi, attualmente non nelle disponibilità di via XX Settembre. Ecco allora Padoan – o chi prenderà il suo posto al ministero dell’Economia – col cappello in mano all’Esm: all’Italia servirebbero almeno 15 miliardi, non solo per la questione Mps ma per sgravare anche tutti gli altri istituti di credito dalla massa miliardaria che zavorra la loro operatività tramite iniezioni di capitale che coinvolgerebbero, oltre a Siena, per cominciare anche Unicredit. Il ministro ha negato la circostanza, ma in questi casi le smentite sono di prammatica. E in cambio della dotazione? L’arrivo della Troika con le sue ‘condizionalità’: un modo elegante per chiamare la svalutazione interna, vera panacea dei mali dell’euro per salvare moneta unica ed esportazioni tedesche. Per la cronaca, all’Esm abbiamo versato 60 miliardi a fondo perduto per salvare le banche di Berlino sovraesposte sul debito pubblico della Grecia. Ora, per averne indietro una frazione pari ad una percentuale inferiore all’1% del Pil, ci tocca pure pagare.
Filippo Burla