Roma, 2 dic – Rapidità, efficienza, semplicità. Queste sono le parole d’ordine della nuova riforma costituzionale. Ma è davvero così? In termini astratti, una riforma che preveda l’instaurazione di una forma di governo fortemente presidenziale, in un’ottica quasi neo-cesarista, troverebbe favorevoli buona parte dei lettori di questo giornale. Ma siamo sicuri che la proposta per la quale siamo chiamati alle urne il 4 dicembre vada proprio in questa direzione? Su ciò, è più che lecito dubitare. In primis, la semplicità. Questa era la caratteristica dei giuristi della prima metà dello scorso secolo, nonché dei nostri padri costituenti, che sotto quella scuola si erano formati. Articoli brevi e chiari. Non è un caso se vigono tuttora sia il codice civile che quello penale, rispettivamente del 42’ e del 30’. Se la riforma costituzionale dovesse incontrare la volontà della maggioranza degli elettori, l’articolo 70 della Costituzione, relativo al procedimento legislativo, passerà da 9 a 432 parole, senza contare i rinvii ad altri articoli e la conseguente riforma anche degli articoli 71, 72, 73 e 77, sempre sul procedimento. Come vedremo, non è una mera questione semantica.
Sebbene non manchi di difetti, l’attuale sistema prevede, ad eccezione dell’iter legis teso alla modifica, integrazione o deroga del testo costituzionale, un unico procedimento legislativo, descritto in maniera chiara e precisa. L’esigenza di cambiare l’attuale sistema, a causa della sua lentezza e macchinosità, che si appalesa soprattutto quando un disegno di legge è oggetto di “palleggio” da una camera all’altra, è fuori di ogni dubbio. Tuttavia, va anche detto che non appare infondata la critica, avanzata da parte di alcuni sostenitori del “no”, per cui se non passano le leggi non è colpa del procedimento legislativo, ma del poco lavoro svolto da entrambe le camere. Altrettanto veritiera è anche la considerazione circa il fatto che, quando si vuole far passare una legge, si riesce a farlo, come nel caso, ad esempio, del jobs act o delle varie leggi “salva banche”. La circostanza che, a tal fine, si abusi spesso delle questioni di fiducia sulle leggi o della decretazione d’urgenza, rappresenta un’ulteriore problematica, per la quale risulterebbe più opportuno una trattazione in separata sede.
Ma torniamo al riformato procedimento legislativo, o meglio ai nuovi procedimenti legislativi. In generale, degna di merito è la previsione in ognuno di essi di tempi scanditi e certi. Tuttavia, non è solo sulla base di questi presupposti che si riforma un potere dello Stato. Per alcune leggi (quali quelle costituzionali e di revisione costituzionale, sulle minoranze linguistiche, sul referendum, sui Comuni e Città metropolitane, sull’eleggibilità dei senatori e sull’elezione del Senato, sulla partecipazione all’Unione Europea e di ratifica dei trattati internazionali) rimarrà in vigore l’attuale procedimento bicamerale.
Per le altre viene previsto un modello generale nel quale il Senato deve prima decidere, nel termine di 10 giorni, se esaminare o meno il disegno di legge e, in caso decida in tal senso, avrà un ulteriore termine di 30 giorni per proporre modifiche. Questo modello, tuttavia, conosce diverse varianti, a seconda della materia e dell’importanza della legge per il Governo, con differenti termini, poteri e modalità di voto.
Nelle materie di competenza non riservata dello Stato, il Governo potrà apporre la nuova clausola di “supremazia”, che consente alla legge dello Stato di intervenire in materie di competenza regionale a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o dell’interesse nazionale. In tal caso, l’esame del Senato sarà necessario, ma dovrà avvenire nel ridotto termine di 10 giorni. Inoltre, qualora lo stesso approvi delle modifiche con la maggioranza assoluta, la Camera potrà disattenderle solo, a sua volta, con la maggioranza assoluta. Oltre a questa ipotesi, c’è anche quella della Legge di Bilancio, per la quale il Senato avrà 15 giorni per proporre modifiche. Per il Senato, poi, c’è anche la possibilità di richiedere alla Camera di discutere entro 6 mesi un progetto di Legge dallo stesso proposto. Per quanto riguarda, invece, i Decreti Legge, è previsto che vengano trasmessi al Senato entro 30 giorni dalla loro presentazione, il quale avrà poi 10 giorni per proporre modifiche. Ultima novità è la previsione del potere del Governo di utilizzare il procedimento legislativo “a data certa” nei casi in cui il disegno di legge presentato sia essenziale per l’attuazione del programma dell’esecutivo, dando quindi priorità al medesimo. In tal caso, la Camera dovrà terminare il procedimento entro 70 giorni, entro i quali il Senato avrà 5 giorni per decidere se esaminare il disegno di legge e, qualora decida in tal senso, 15 giorni per apportare modifiche.
A questa grande opera di riforma del procedimento legislativo, va aggiunta un’ulteriore modifica a carattere generale che viene operata sull’art. 117 della Costituzione: l’eliminazione delle materie a competenza concorrente tra Stato e Regioni. In esse, il primo dettava le linee e principi da seguire, mentre le seconde disciplinavano le modalità con cui perseguirli in concreto. Pertanto, qualora passasse la riforma in commento, si avranno solo materie di competenza esclusiva statale e esclusiva regionale, con l’aggiunta, come sopra rilevato, di quei casi in cui il Governo decida di apporre su un disegno di legge la clausola di supremazia, andando quindi a legiferare in ambito di competenza regionale.
Già ad un primo sguardo, il possibile nuovo sistema risulta complicato e variegato, sebbene potrebbe astrattamente sembrare più rapido ed efficiente. Il dato astratto, però, deve fare i conti con la realtà concreta. A fronte di una frammentazione tra materie statali, regionali e materie sempre regionali che però vengono trattenute dallo Stato, nonché di una vasta suddivisione al loro interno tra i diversi tipi di procedimenti legislativi utilizzabili, è innegabile come potrebbe risultare particolarmente arduo stabilire in concreto a quale materia appartenga un determinato disegno di legge e, di conseguenza, chi sia competente su di esso e quale procedimento debba usare. Stabilire in concreto un netto confine tra materie è quanto di più ostico e dibattuto. Non è un caso che, anche con il più semplice sistema ora vigente, la Corte Costituzionale sia sempre più spesso chiamata a risolvere conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni.
Pertanto, sembra giusta la critica di chi afferma che, con la riforma proposta, si potrebbe giungere ad un’esplosione di conflitti di attribuzione non solo tra Stato e Regioni, ma anche a livello interorganico tra i due rami del parlamento, qualora, ad esempio, il Senato ritenga che la Camera abbia utilizzato un procedimento legislativo errato in quanto il disegno di legge rientrava in altra materia.
Tutto ciò, rischierebbe di creare una paralisi del sistema non diversa da quella che spesso si crea a causa della citata lentezza delle camere.
Al di là di questi aspetti, sui quali comunque l’ultima parola spetta sempre all’attuazione pratica, c’è un aspetto, se vogliamo metagiuridico, o comunque più politico che giuridico, che a chi scrive è balzato subito agli occhi dopo una prima lettura “a caldo” del testo della riforma. La sensazione che si voglia cambiare tutto affinché nulla cambi, almeno nella realtà dei fatti. Si diceva che la questione della semplicità non era solo semantica. Ebbene, l’impianto di questa riforma è quanto più si allontani da un intento semplificatore. Non è mero discorso da “bar” dire che, se si voleva snellire il procedimento e ridurre il numero dei parlamentari, si sarebbe dovuto eliminare il Senato sic et simpliciter.
La macchinosità dovuta alla moltiplicazione dei procedimenti legislativi e i labili confini tra le diverse materie di competenza statale e regionale, da un lato, e la previsione di meccanismi altamente “velocizzanti”, come il voto a data certa, dall’altro, danno l’idea, perlomeno a chi scrive, che chi ha proposto la presente riforma voglia continuare a gestire la cosa pubblica in un modo sì nuovo, ma comunque figlio di quello attuale. Così, quando si vorranno far passare leggi come il Jobs Act, si potranno usare meccanismi, come il voto a data certa, più rapidi e sicuramente meno criticabili, a livello giuridico e politico, di quelli finora utilizzati, ossia il citato abuso delle questioni di fiducia e della decretazione d’urgenza. Allo stesso modo, si avrà gioco facile nel rallentare l’esame di altri disegni di legge. Questa volta, non grazie al loro arenarsi nelle aule del Parlamento a causa di “palleggi” tra le camere, ma magari a causa della materia cui si riferiscono, per cui non si sa chi sia competente e con quale procedimento. Ciò, come accennato, in caso di irregolarità, potrebbe portare ad un conflitto di attribuzione da risolvere davanti alla Corte Costituzionale, soffocando la legge tra tecnicismi e questioni burocratiche.
Cambiare tutto affinché nulla cambi. Un sospetto. Per ora.
Società degli Scudi