Roma, 24 nov – E’ tornato lo spread. Il differenziale fra Btp italiani e Bund tedeschi ha ripreso a salire con vigore, lambendo la soglia psicologica dei quasi 200 punti-base. Siamo lontani dai massimi (574) toccati quando nel 2011 Berlusconi fu costretto a lasciare inaugurando la stagione dei governi non eletti, ma in questa ennesima fiammata dell’indicatore più abusato degli ultimi anni c’è da temere poco o nulla. Non che rispetto al 2011 la situazione sia migliorata, anzi. Chi, però, adesso vuole attaccare l’Italia, più che allo spread è alle banche che guarda.
Sono passati quattro anni da quelle terribili settimane di speculazione contro il nostro paese, quando una massiccia ondata di vendite partite da Goldman Sachs e Deutsche Bank forzarono il premier, dietro la regia di Napolitano e della Merkel, a passare la mano all’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti. Da allora i fondamentali dell’economia sono rimasti invariati, se possibile anche peggiorati. La disoccupazione veleggia attorno ai record storici, il debito pubblico non cala e le manovre economiche si risolvono sempre in un braccio di ferro con la Commissione. Nel frattempo la Bce ha varato una serie di misure che mettono i titoli di Stato al sicuro: si va dallo scudo antispread al Quantitative Easing, riversando una massa di liquidità finita in buona parte in buoni di debito sovrano, messo così più o meno al riparo dagli umori dei mercati. Sempre nel frattempo, tuttavia, complice la stagnazione che perdura da anni dopo il crollo del Pil, ad andare in severa sofferenza sono state le banche, chiuse nella spirale innescata in parte da loro stesse con la stretta al credito. Succede così che, specialmente in Italia dove le operazioni di pulizia si sono risolte nella truffa ai risparmiatori di pochi istituti, la massa di prestiti incagliati assomma a qualcosa come 200 miliardi di euro. Un’enormità che zavorra i bilanci di buona parte del sistema, con Mps a rappresentare il più importante – ma assolutamente non unico – esempio di malagestione del problema.
Non potendo più rivolgere le proprie attenzioni sullo spread e sui buoni del Tesoro, gli investitori più spregiudicati hanno allora messo nel mirino proprio gli istituti di credito. Il Ftse Italia banche, l’indice che raggruppa in Borsa Italiana l’andamento del settore, ha perso in un anno oltre il 50% del proprio valore, con un calo superiore al 10% solo nell’ultimo mese e chiari di luna capaci, a giorni alterni, di trascinare al ribasso l’intera Piazza Affari . Qui non c’è rete di protezione che tenga: per fortuna ma anche, nella contingenza, purtroppo, quell’unione bancaria che doveva rappresentare uno dei tanti malfermi pilastri dell’Ue è ancora solo un desiderio dei burocrati di Bruxelles e Francoforte, perché la Germania – le cui banche sono già in difficoltà per conto loro – non intende condividere rischi con altri, volendo godere solo degli onori ma non degli oneri dell’esperimento comunitario. Una miopia più che giustificata, ma che fa convergere verso l’anello debole del settore bancario – cioé, ad oggi, l’Italia – i falchi della speculazione.
Filippo Burla